Sulla pillola abortiva Ru 486 sembra profilarsi una ritirata strategica di Zaia e di Cota, i due leghisti eletti presidenti del Veneto e del Piemonte. Ma, con le prime violente dichiarazioni di guerra, il segnale di simpatia verso le gerarchie era già dato. Il Papa, i cardinali e i monsignori lo sanno e li aspettano al varco anche per spremere quanto più possono le casse di quelle importanti regioni: già si parla di Centri per la Vita da istituire presso ogni ospedale, quasi certamente un’altra intimidazione, un altro tentativo di colpevolizzare le donne che scelgono di ricorrere all’interruzione della gravidanza.
Uno dei vescovi più entusiasti e pronti ad acclamare l’arruolamento volontario dei leghisti nella nuova crociata è stato l’untuoso cappellano della Camera dei Deputati, Rino Fisichella, che è anche presidente del Pontificio Ateneo Lateranense (vedi su questo stesso blog il post Si vergogni monsignore e la registrazione linkata al suo titolo: http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2009/09/si-vergogni-monsignore-la-battaglia.html ). Ha detto: “Al primo atto compiuto da Cota, va il mio plauso. Mi sembra che sia un atto profondamente significativo dell’orientamento che il nuovo presidente del Piemonte vuole prendere, vale a dire quello di stare dalla parte della difesa della vita”. Si riferiva all’intenzione dichiarata di “tenere in magazzino” le pillole abortive già acquistate dalla Regione.
C’è però nell’arzigogolato ragionare del monsignore qualcosa che non funziona. Il “governatore” del Piemonte non ha dichiarato alcuna intenzione di fermare o sabotare l’effettuazione degli aborti. La pillola di cui si parla, infatti, interviene solo quando, attraverso una procedura complessa e a mio avviso un po’ umiliante, la donna ha confermato per ben due volte l'intenzione di interrompere la gravidanza. Solo allora (quando cioè la scelta “contro la vita” è già compiuta) medico e paziente possono ragionare della opzione tra aborto chimico e aborto chirurgico. Insomma quella di Cota (e di Fisichella) non è affatto una battaglia in difesa della vita, ma in difesa del raschiamento, che è a sua volta una pratica disumana se, come suol dire Fisichella, l’embrione “non è un maialino”. Nei fatti, ricorrendo all'aborto chirurgico, si sceglie per l'embrione una morte raccapricciante, tra i ferri della tortura. Si sa come rispondono i talebani del Vaticano a questo tipo di obiezioni: la Ru 486 “banalizza” l’aborto. E’ dunque per non banalizzarlo che pretendono l'odore del sangue della donna e la macellazione dell’embrione.
C'è da sperare che questa campagna contro la "banalizzazione" non si allarghi ad altri campi. Da qualche tempo, per esempio, la “difesa della vita” da parte della Curia si è estesa alla pena di morte, anche se non risulta che la gerarchia vaticana incoraggi obiezioni di coscienza tra magistrati, agenti, medici, boia, etc., che in qualche modo contribuiscono all’esecuzione. Io, che alla pena di morte sono radicalmente ostile, sono felice dell’impegno abolizionista del mondo cattolico, della Comunità di Sant’Egidio per esempio. Ma i “fisichelli”, per coerenza, non dovrebbero limitarsi a chiedere di mettere fine alle uccisioni di stato; dovrebbero, ove la loro richiesta non fosse accolta, battersi per non “banalizzarle” con incruente sedie elettriche o iniezioni letali, ma perchè se ne mostri interamente la crudeltà attraverso il ricorso alla mannaia o, quanto meno, al rogo.
O no?
Pur essendo d'accordo che la pillola possa essere meno traumatica per l'embrione rispetto al raschiamento, credo sig. Salvatore che lei abbia parlato un po' troppo a vanvera sui Centri per la Vita. Infatti potrà da sé verificare che in tali centri non si colpevolizza affatto la donna, ma si propone ogni tipo di aiuto (sociale ed economico) per chi decida di interrompere la gravidanza solo per paura, o perché spinto dalla famiglia o perché senza lavoro o altri simili casi in cui la donna si sente costretta ad abortire, ma in fondo a sé desidera suo figlio.
RispondiEliminaNon ho avuto frequentazione dei Centri, ma vedo la sua buona fede e ammetto che potrei essermi sbagliato per un eccesso di diffidenza, almeno su alcuni dei Centri per la Vita. Se si rispettano le altrui scelte e la privacy, e se non si spendono denari pubblici non ho obiezioni di principio. Se può e vuole, mi dica lei che sa. E' la donna che vorrebbe interrompere la gravidanza che, dentro l'ospedale, decide se parlare o meno con le persone del Centro o viene in ogni caso contattata? Oltre agli spazi eventualmente offerti dalle aziende ospedaliere ci sono altri costi per l'erario pubblico?
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