8.5.10

150 anni fa. I Cacciatori delle Alpi partono per la Sicilia.

A Luciano Bianciardi, il giornalista controcorrente, lo scrittore corrosivo, l'anarchico, il repubblicano intransigente, l'ubriacone senza regole, l'editore Bietti aveva commissionato un libro sul Risorgimento per i ragazzi. A Bianciardi riuscì assai bene. Il figlio Marcellino (aveva poco più di dieci anni), leggendo il manoscritto, gli disse: "Sei più bravo di Salgari". L'editore gli telefonò per dirgli che il Risorgimento era una faccenda che appassiona e avvince, che a volte persino diverte. E pretese una riscrittura per gli adulti. Bianciardi, pur inorgogliendosi come un tacchino, ebbe la modestia di spiegare sia all'editore che al figlio chele storie vere sono senpre più belle, più appassionanti, di quelle inventate. Il titolo del libro, uscito nel 1969, fu Daghela avanti un passo, un verso della più celebre canzoncina risorgimentale La bela Gigogin. Dal libro ho tratto questo brano (e ne trarrò altri) non solo perché ben scritto, pieno di curiosità, divertente, ma perché attendibile e senza retorica. Sul Risorgimento si sentono oggi cose senza capo nè coda (tipo "il Nord non voleva l'unità") spacciate come verità. Forse vale la pena di rileggerne (o di leggerne) qualche passaggio ottimamente raccontato. (S.L.L.)

A decidere la partenza fu un telegramma giunto da Malta al Crispi (c’è chi sosteneva che il Crispi se lo fosse inventato): avvertiva che a Palermo la rivoluzione era stata domata, ma su per le montagne gli insorti resistevano ancora, ed erano decine di migliaia. In fretta si cercarono le armi: Massimo d’Azeglio, governatore di Milano, rispose picche a chi gliele chiedeva, ma La Farina giurò che almeno un migliaio di fucili li avrebbe rimediati lui, duecento carabine furono comprate da un armaiolo, ed erano carabine inglesi, Enfield, le migliori. Per il trasporto ci si rivolse a Giovan Battista Fauché, amministratore della società Rubattino, e gli si offrivano centomila lire per una nave. Il bravo Fauché rispose che dava senz’altro un vapore, il Piemonte, e che non voleva soldi, ma tutto all’insaputa dei Rubattino. Erano rimasti scottati dalla faccenda del Cagliari, tre anni prima dal Pisacane. Dovevano perciò fare finta di prenderlo con la forza. Questo Fauché morirà poi in miseria, ricoverato all’ospizio dei vecchi, mentre il merito di aver dato i vapori a Garibaldi se lo piglieranno proprio i Rubattino: cose simili sono sempre successe e continueranno a succedere.

La notizia che si partiva si diffuse come un lampo in tutta l’alta Italia, e da ogni parte accorsero altri volontari: a Bergamo Francesco Nullo fu costretto a farne scendere parecchi dal treno con la minaccia d’una pistola puntata: infatti non c’era posto, non c’erano armi, per troppa gente. Ma anche così un vapore non poteva bastare, e il bravo Fauché ne concesse un secondo, il Lombardo. Dal canto suo il Piemonte, fabbricato a Glascow nel 1851, era lungo 50 metri, largo sette, pescava tre metri e stazzava centottanta tonnellate. Tutti e due funzionavano a ruota, cioè la caldaia a vapore metteva in moto, sul fianco della nave, una ruota a pale, come si vede fare al cinema dai battelli del Mississipi. E veramente, oggi, battelli simili a fatica li accetteremo per la navigazione lacustre.

Sopra quei due arnesi dovevano caricare un migliaio di fucili con baionetta, cinturino e giberna, cinquecento sciabole, sei casse di scarpe, ventisette scatole di consommé, un cesto di vermicelli sopraffini, una cassa di proclami già stampati, una bellissima bandiera, 94.000 lire, 1088 uomini e una donna, che si chiamava Rosalia Monmasson ed era la moglie di Francesco Crispi. Ma chi erano questi uomini? Da dove venivano? Ebbene, centosessanta venivano da Bergamo, centocinquantasei dalla Liguria, settantadue da Milano, cinquantanove da Brescia, cinquantotto da Pavia (quasi tutti studenti). Non mancavano naturalmente i meridionali, soprattutto i siciliani e i calabresi. Soltanto questi avevano veduto il Sud d’Italia, gli altri non c’erano mai stati. Della Sicilia avevano letto qualcosa sui libri: la terra dei Vespri, la dimora di Vulcano, l’antro del Ciclope.

Perché era tutta gente che leggeva. E scriveva: dalla file dei Mille usciranno almeno due grandi scrittori (Ippolito Nievo e Giuseppe Bandi), giornalisti, due primi ministri (Crispi e Cairoli), parlamentari e generali a decine. Non c’era, fra loro, nemmeno un contadino: erano, nel nocciolo, la futura classe dirigente, o meglio, una parte, la più illuminata della futura classe dirigente. Ma, per adesso, della Sicilia ignoravano tutto, ne avevano notizie molto letterarie oltre che sbagliate: il primo incontro coi siciliani sarà una sorpresa. E della Sicilia il comando neanche possedeva una carta topografica; a Genova non fu possibile trovarla.

Il nome dei Mille fu inventato più tardi; per ora si chiamavano, ufficialmente, Cacciatori delle Alpi, cioè intendevano portare avanti l’impresa cominciata l’anno prima in Lombardia: I proclami di Garibaldi cominciavano sempre con la parola d’ordine “Italia e Vittorio Emanuele” ed erano rivolti appunto ai Cacciatori delle Alpi.

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