8.5.10

Cari vecchi. La lettera ai genitori del Che, in partenza per la Bolivia.

1 aprile 1965

Cari vecchi,

una volta ancora sento i miei talloni contro il costato di Ronzinante: mi rimetto in cammino con il mio scudo al braccio.

Sono passati quasi dieci anni da quando vi scrissi un’altra lettera di commiato. A quanto ricordo, mi lamentavo di non essere un miglior soldato e un miglior medico: il secondo ormai non mi interessa, come soldato non sono tanto male.

Nulla è cambiato nella sostanza, salvo il fatto che sono molto più cosciente, che il mio marxismo si è radicato e depurato. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi, e sono coerente con quello che credo. Molti mi definiranno avventuriero, e lo sono; ma di un tipo differente: di quelli che rischiano la pellaccia per dimostrare le loro verità. Può darsi che questa sia la volta definitiva. Non cerco la morte, ma rientra nel calcolo logico delle probabilità. Se così fosse, eccovi un ultimo abbraccio.

Vi ho molto amato, ma non ho saputo esprimere il mio affetto; sono, nelle mie azioni, estremamente drastico e credo che a volte non abbiate capito. Non era facile capirmi, d’altra parte: credetemi almeno oggi. Ora, una volontà che ho educato con amore di artista sosterrà due gambe deboli e due polmoni stanchi. Riuscirò. Ricordatevi, ogni tanto, di questo piccolo condottiero del XX secolo.

Un bacio a Celia, a Roberto, a Juan Martin e a Pototin, a Beatriz, a tutti.

A voi un grande abbraccio di figliol prodigo e recalcitrante.

Ernesto

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