30.5.10

Fermate Centaro! Intercettazioni e dibattimenti. L’articolo della domenica.


Le norme contro le intercettazioni e contro la loro pubblicazione, per quanto mascherate da garanzia per la vita privata dei cittadini, sono nello stesso tempo un regalo alle mafie e ai collusi con le mafie ed un bavaglio per la libera informazione. Le argomentazioni addotte sono tante e di tal peso che non giova qui ripeterle. Ne riproporrò solo alcune, anch’esse note ma forse meno di altre, fondate sul principio della distinzione.
Le intercettazioni pubblicate si distinguono in due grandi gruppi: quelle coperte da segreto istruttorio e quelle inserite in atti giudiziari e dunque a disposizione delle parti del processo. 
Chi è in grado divulgare le prime? Polizia e carabinieri incaricati di intercettare, registrare, sbobinare, magistrati, dipendenti dell’amministrazione della giustizia, potenziali talpe potenzialmente allettate dai lauti compensi elargiti dal sistema mediatico. 
Sanzioni sulla violazione del segreto istruttorio ci sono già. Se giudicate lievi, dati i gravi effetti del reato sull’altrui immagine, le si può aggravare senza creare ostacoli agli indagini. E’ vero peraltro che sono ben rari i casi di talpe scoperte e incriminate. Ma anche a questo si può porre rimedio: stabilire delle procedure rigide che diminuiscano il numero di persone cui le intercettazioni siano accessibili e che favoriscano pertanto l’individuazione e l’esemplare condanna dei corrotti. Il fenomeno, a mio avviso, aumentando i rischi di essere scoperti, si ridurrebbe notevolmente e l’individuazione di qualche poliziotto, carabiniere, pm, cancelliere infedele gioverebbe alla ripulitura dei pubblici apparati. 
Conosco l’obiezione: se ci sono registrazioni e i testi delle intercettazioni, qualcuna comunque esce fuori. E’ un rischio che bisogna pur correre, se non si vuole rinunciare all’efficacia di indagini assolutamente indispensabili a combattere criminalità organizzata e corruzione politica, burocratica e finanziaria. Nessuno pensa di bloccare la libera circolazione delle automobili perché c’è in giro qualche pirata della strada.
Per quanto riguarda i testi di telefonate intercettate a disposizioni delle parti del processo l’intervento non può che riguardare la magistratura. Io ho l’impressione che qualche abuso ci sia stato. A naso mi pare che una parte delle conversazioni rivelate (ripeto, dalla magistratura) in atti di rinvio a giudizio e simili abbiano pochi nessi con i reati e riguardino esclusivamente aspetti della vita privata meritevoli di protezione. Forse non guasterebbero regole più rigide determinate per legge, ma credo che su questi problemi debba avere un peso importante l’organo di autogoverno della magistratura, che deve individuare e punire gli abusi, quando ci sono, e non difendere sempre e comunque i magistrati sciattoni che non controllano e selezionano.
La cosa più grave della legge in discussione è, ovviamente, il bavaglio che si vuole imporre alla stampa e all’informazione attraverso le gravissime sanzioni previste per le violazioni. Gli effetti di una simile normativa potrebbero essere devastanti per la democrazia, che com’è noto si fonda sulla libera circolazione delle informazioni, sul massimo della trasparenza e non sul segreto e sull’oscuramento. Io credo che in questo caso non valga l’obiezione che i fatti emersi dalle conversazioni non siano reato, specie quando si tratti di potenti, di uomini della politica, dell’economia, dell’alta burocrazia, della magistratura. Esistono fatti di costume che, pur non essendo reato, la stampa ha non solo il diritto, ma anche il dovere di rivelare, specie quando essi riguardino uomini pubblici ed investano in qualche modo la loro funzione.
Queste le brevi sottolineature che intendevo fare, ma c’è una piccola cosa che intendo aggiungere, di cui nessuno parla e che è altrettanto grave. C’è un ex magistrato originario di Siracusa, che è dal 1996 parlamentare per il polo berlusconiano, che è stato responsabile di Forza Italia per la giustizia e presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 2001 al 2006. Si chiama Roberto Centaro. E’ oggi senatore Pdl impegnatissimo nella Commissione giustizia: ha tra l’altro il ruolo di relatore per la legge sulle intercettazioni che arriverà in aula lunedì. In questo ruolo ha presentato un emendamento, approvato in commissione, che con le intercettazioni c’entra come i cavoli a merenda e che riguarda il dibattimento processuale. Il dibattimento è, nelle democrazie, pubblico, anzi pubblicissimo e, solo in rarissimi, codificati casi, si può eccezionalmente svolgere a porte chiuse in qualche sua fase. L’emendamento, grosso modo, recita che sono proibite le registrazioni e, ovviamente, le trasmissioni televisive e radiofoniche dei processi quando anche una sola delle parti in causa vi si opponga. Il che vuol dire, praticamente, sempre, perché, anche a prescindere dai grandi processi di mafia con decine o centinaia di imputati, c’è sempre una delle parti interessata a ridurre la pubblicità del processo.
Tali registrazioni sono oggi regolate da una normativa emanata da un ministro che era anche un grande giurista, Giuliano Vassalli, che ha trattato la materia con eccezionale equilibrio. Vassalli ha distinto tra processi, come dire, ordinari, e processi di rilevanza sociale. Solo per i secondi è ammessa la registrazione e diffusione del pubblico dibattimento ed il compito di determinare la rilevanza sociale è affidata al giudice del processo. Il diritto alla privacy è garantito ai testimoni che non vogliano essere ripresi dalle telecamere. Finora ad utilizzare questa possibilità tra le emittenti televisive è stata soprattutto la Rai, che vi ha costruito la trasmissione Un giorno in Pretura, all’interno della quale sono stati diffusi ampi passaggi di alcuni processi di mafia, di terrorismo, di corruzione. Tra le emittenti radiofoniche chi, sistematicamente, registra e trasmette i grandi processi per svolgere, come proclama, un servizio pubblico è Radio radicale. Questa attività risale ai tempi del caso Tortora, ma si è estesa a tutti i più importanti processi. L’emittente radiofonica non trasmette per intero tutti i processi, ma ne conserva la registrazione integrale e la mette a disposizione di tutti attraverso la rete. Non c’è niente di segreto o di riservato in queste registrazioni, riguardano, ripeto, dibattimenti a cui chi vuole può assistere e che Radio radicale, con il consenso dei giudici, rende davvero pubblici, cioè accessibili ai più. Le registrazioni dei dibattimenti sono tante cose, per esempio una fonte per gli studiosi e i giornalisti, un archivio storico per le generazioni a venire, ma anche e soprattutto uno strumento attuale per il controllo democratico da parte della pubblica opinione. Non comprendo pertanto come le forze politiche, culturali, mediatiche che appaiono più sensibili ai temi di libertà e più combattive verso l’opacizzazione del potere, tipica dei regimi autoritari, non abbiano lanciato un allarme su questo punto. Sarà che a promuovere questo lavoro, questo autentico servizio civico, sono stati fino ad oggi i radicali, che sono antipatici a molti e per molte ragioni (a volte condivisibili), ma non si può togliere ai cittadini una libertà e una opportunità solo per fare un dispetto a Pannella, a Bonino e a Bordin. Lo chiedo a tutti quelli cui in qualche modo arriverà questa sorta di messaggio nella bottiglia, questo grido per ora isolato: “Fermate Centaro!”.

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