3.5.10

Ponte sullo stretto. Il primo attentato (di Antonio Mazzeo - da "U Cuntu")

Antonio Mazzeo è un giornalista siciliano indipendente che ha realizzato inchieste su molti argomenti scottanti, italiani e internazionali. E’ stato uno dei promotori di “terrelibere”, il sito che, tra l’altro, assai prima della rivolta di Rosarno, ha denunciato e illustrato il crescere in Calabria di un razzismo feroce e violento, che non rifuggiva dall’omicidio. Da qualche settimana è in libreria un suo volume, I Padrini del Ponte (edizioni Alegre), sul complesso intreccio affaristico-mafioso che sta realizzandosi intorno alla progettata costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Collabora assiduamente con alcuni siti e riviste variamente afferenti al mondo della sinistra (“Sto stretto”, il “Notiziario del Campo Antimperialista”, “U Cuntu”). Da “U Cuntu” è tratto questo articolo, che prende le mosse da un attentato in un cantiere calabrese (S.L.L.).

Mafia e ponte: attentato numero uno

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In attesa del via ai lavori del Ponte, la ’ndrangheta incendia la trivella di una ditta palermitana incaricata dei sondaggi geologici a Cannitello dove sorgerà uno dei piloni

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La trivella si trovava parcheggiata nel quartiere di Cannitello Case Alte, nei pressi della stazione di servizio ovest dell’auto­strada Salerno-Reggio Calabria. Appena un mese fa il ministero dell’Interno, la Società Stretto di Messina, il general contractor “Eurolink” a cui è affidata la progettazione e la costruzione del Ponte, e i sindacati Cgil, Cisl e UIl avevano sottoscritto un “protocollo di legalità” per prevenire i tentativi d’infiltrazione da parte della criminalità nei lavori della cosiddetta Variante di Cannitello, consistenti nello spostamento a monte della stazione e della linea ferroviaria per evitare interferenze con i futuri cantieri del Pon­te. Il protocollo prevede l’implementazione di misure di controllo quali la «tracciabilità dei flussi finanziari», la «definizione di una white list delle aziende con i requisiti in re­gola», una «Banca Dati a cui avranno accesso tutti i soggetti istituzionali interessati alle attività di monitoraggio sulle opere e sulle procedure di reclutamento della ma­nodopera». Il piano per la Variante di Cannitello è stato indicato con sin troppo entusiasmo dal ministro Maroni come «lo scudo che il Governo mette in campo per proteggere i cantieri del Ponte dalla ‘ndrangheta» e «il laboratorio su cui lavorare per bonificare in via definitiva il settore dei lavori pubblici da appetiti malavitosi». L’attentato di adesso prova tuttavia che ‘ndrine e cosche non devono essere rimaste particolarmente impressionate dai contenuti delle nuove misure anti-infiltrazione. E comunque sino ad oggi il Viminale si è guardato bene di specificare quando e quali risorse finanziarie verranno messe in campo per rendere operativi gli interventi prolegalità nella criticissima area dello Stretto di Messina. I lavori ferroviari di Cannitello, per un valore di circa 26 milioni di euro, sono stati affidati ad “Eurolink”, l’associazione temporanea d’imprese guidata da Impregilo che si è aggiudicata la gara per la realizzazione del Ponte. Presentati dalla Società Stretto di Messina come «propedeutici» alla costruzione del manufatto, i lavori per la nuova tratta ferroviaria di Cannitello sono stati duramente stigmatizzati dalla Rete No Ponte e da alcune delle maggiori associazioni ambientaliste (Fondo Ambiente Italia, Italia Nostra, Legambiente, Wwf). In un documento congiunto, il progetto di variante viene descritto come «estremamente schematico e stringato e del tutto inadeguato all’opera che si intende realizzare». «Del resto - si aggiunge - i documenti progettuali sembrano l’ovvia conseguenza delle carenze di analisi e di programmazione territoriale e ambientale che connotano tutta l’operazione e che è riscontrabile nelle anomalie procedurali». Per il WWF Italia, in particolare, la “bretellina di Cannitello” (appena 1,1 km di linea ferroviaria) è «una grottesca rappresentazione da cui i cittadini di Calabria e Sicilia non ne ricaveranno alcun vantaggio, mentre l’aver avocato a Stretto di Messina (SDM) SpA, e quindi al General Contractor “Eurolink” la realizzazione della variante, affidata originariamente (com’era logico) a RFI SpA, quale opera funzionale al ponte, darà al GC, ancor prima dell’approvazione del progetto definitivo, una formidabile arma di ricatto nei confronti dello Stato”. Secondo il contratto tra la concessionaria pubblica e il general contractor, infatti, dal momento in cui verrà aperto anche un solo cantiere in qualche modo collegato al ponte, quest’ultimo potrà chiedere, nel caso non venga poi realizzata l’infrastruttura, penali che vanno da un minimo di 390 milioni di euro (10% del valore di aggiudicazione di gara) ad un massimo di oltre 630 milioni di euro (10% del costo totale dell’investimento). Quello odierno non è il primo tentativo da parte delle organizzazioni criminali d’inserirsi “militarmente” nei sondaggi idro­geologici propedeutici ai lavori del Ponte. Secondo quanto emerso in occasione del processo Olimpia 4, condotto contro alcuni dei gruppi ‘ndranghetisti responsabili di una serie di episodi delittuosi nella provin­cia di Reggio Calabria, a fine anni ’80 il presunto boss di Campo Piale, Ciccio Ra­nieri, avrebbe sottoposto ad estorsione i responsabili della ATP - Giovanni Rodio Spa, la società di Milano incaricata delle trivellazioni per gli studi di fattibilità del Ponte. Per questa estorsione, Ciccio Ranieri è stato condannato in appello a tre anni e quattro mesi di reclusione; ad accusarlo, il pentito di mafia Maurizio Marcianò, che ha pure identificato i dirigenti della società che gli avevano versato alcuni milioni di lire. Un importante collaboratore di giustizia, il messinese Gaetano Costa, a capo della cosca locale durante tutti gli anni ’80, ha inoltre riferito di un incontro tenutosi a Roma intorno all’82-83 tra il suo ex braccio destro Domenico “Mimmo” Cavò, poi assassinato, e il boss di Porta Nuova, Pippo Calò, mente economica della mafia e vero e proprio ambasciatore di Cosa Nostra nella capitale. «Il tramite di quell’incontro fu Michelangelo Alfano», ha raccontato Costa. «Si doveva discutere una questione concernente l’inserimento della mafia nella gestione di alcune somme che dovevano essere stanziate per realizzare alcuni sondaggi geologici in vista della possibile realizzazione del Ponte di Messina. Mimmo Cavò mi raccontò che grazie sempre alle garanzie di Michelangelo era riuscito ad ottenere la consegna di grosse partite di eroina da parte dello stesso Leonardo Greco». Trent’anni dopo, il Ponte mantiene inalterata la sua vocazione criminale e criminogena.

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