Lo Statuto di recente approvato, in prima lettura, dal Consiglio regionale, notoriamente non ci piace. E’, soprattutto, la scelta presidenzialista a farcelo giudicare, senza esitazione, di destra, ma la destra, culturale e politica, non si accontenta mai, “dopo ‘l pasto ha più fame che pria”. Così, sul “Giornale dell’Umbria” di Colaiacovo e Mecucci, sono apparsi numerosi pezzi (articoli, dichiarazioni, forum di gruppi e categorie) assai critici rispetto ad alcune formulazioni e, ancor più, alle presunte omissioni del lungo preambolo statutario. Una sorta di summa è il lungo articolo dell’8 maggio di Alessandro Campi, il quale, dopo il suo saggio su Mussolini, vorrebbe accreditarsi come intellettuale di punta della nuova destra, in Umbria e non solo. Si disse, credo giustamente, del fascismo, che la sua era “ideologia d’accatto”, che metteva insieme non senza qualche incoerenza materiali della più varia origine. A un miscuglio dello stesso genere sembra lavorare Campi, che vi ficca dentro liberismo e decisionismo, modernismo e nazionalismo. Nell’articolo in questione il suo bersaglio polemico è il “politicamente corretto” contenuto nel preambolo. Non gli piacciono “pace, non violenza, diritti umani, accoglienza, differenza, politiche di genere, azioni positive, integrazione, cooperazione tra i popoli, sviluppo sostenibile, Resistenza, multiculturalismo”, insomma l’odierno repertorio democratico. Per Campi sono solo termini alla moda, che vorrebbe sottoposti a un “filtro critico”.
Intanto confronta quello umbro con altri statuti, delle regioni governate dalla destra. Lì questa roba (per la gioia di Campi) non ci sarebbe. In compenso troverebbero posto altri principi, per Campi più moderni e attuali: in primis la “centralità dell’impresa”, il suo “ruolo strategico e primario”, mentre lo Statuto umbro si limita a riconoscerne “il valore sociale”; in secundis la “sussidiarietà”, che il testo approvato riconoscerebbe solo come conferimento di competenze a Province e Comuni e non come possibilità di affidare ai cittadini singoli o associati compiti amministrativi, funzioni e servizi, vale a dire di privatizzare tutto o quasi.
L’articolo che meglio esprime le ambizioni ideologiche di Campi, forse anche la funzione cui aspira, risale tuttavia al mese precedente, al 17 aprile. Il titolo Gentile e Quattrocchi uniti da una morte esemplare riecheggia, non so quanto volontariamente, un fortunato slogan sessantottino (“operai e studenti uniti nella lotta”). Il povero Quattrocchi, soldato mercenario disoccupato, viene elevato, per via della sua ultima frase, forse autoconsolatoria, su come muoiono gl’italiani, ad eroe, martire e testimone, portatore di una sfida che pone davanti ad una nazione distratta “i suoi doveri ed obblighi, morali e politici”. Quanto a Gentile, Campi ritiene sbagliate le valutazioni sia di chi sostiene, da moralista, “l’inutilità e la disumanità del suo assassinio”, sia di chi “giustifica e spiega storicamente l’episodio”, in ossequio a una “lettura criminalizzante del fascismo”. Che Campi sia proclive a glorificare perfino i crimini del fascismo l’avevamo capito da tempo, già da prima del libro su Mussolini. Succede che uno studioso s’innamori dell’oggetto della sua ricerca, ma del duce e del suo regime il politologo e storico umbro era forse appassionato già da prima. Ora il suo canto d’amore è diretto a Gentile, alla sua morte “eroica”, a una figura che dovrebbe essere “patrimonio della nazione”. Egli è indicato come “l’esponente culturalmente più prestigioso ... di un regime al quale per almeno quindici anni la maggioranza degli italiani ha offerto la propria adesione”, “il rappresentante più autorevole di una tradizione intellettuale, di schietta matrice risorgimentale, che in cima ai propri pensieri aveva una sola idea: trasformare l’Italia in una nazione moderna e consapevole”. L’impressione è che Campi si candidi a perpetuare questa tradizione nel regime cui l’impero mediatico del capo dovrebbe garantire l’adesione della maggioranza. Per senso di umanità, visto come andò a finire il suo maestro e modello esemplare, non glielo auguriamo.
Certo che continuo a pensarla alla stessa maniera di allora. Perchè dovrei aver cambiato idea? Grazie per l'attenzione, Alessandro Campi
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