Nel 1992 al quotidiano comunista “il manifesto” affiancò un mensile, “il manifesto del mese”, a carattere monografico. L’ultimo numero dell’anno era dedicato all’Europa alla vigilia dell’entrata in vigore del trattato di Mastricht. A pagina 29 l’articolo era un brano, scelto dall’autore, di un volume collettaneo in via di pubblicazione, Nazioni senza ricchezza, ricchezza senza nazione. L’autore, qualificato come “docente di diritto tributario all’Università di Pavia”, era Giulio Tremonti. Vi sosteneva che lo sgretolamento degli stati-nazione avrebbe potuto portare a un “impoverimento della sfera politica”, un rischio soprattutto per la sinistra. “L’impoverimento politico – scriveva – non è certo un problema per la destra: domestico od imperiale, nazionalista o mercantilista, imploso od esploso, l’egoismo si trova infatti bene ovunque”. Il problema più rilevante che poneva era quello dei diritti degli immigrati, cioè la conquista di diritti civili, sociali e politici per chi non aveva (e spesso non voleva, per non perdere la cittadinanza d’origine) il diritto di voto politico, insomma per i cittadini extraitaliani ed extracomunitari che in Italia vivevano e lavoravano. Ripropongo qui la seconda parte dell’articolo dedicato al ruolo della sinistra, per la serie “come si cambia” (S.L.L.).
Per cominciare, non ci può essere una sinistra italiana, una sinistra francese od una sinistra tedesca: ormai, la sinistra, o è universale o non è. E per essere universale la sinistra non può avere altro che una ragion d’essere, a sua volta universale, ma opposta rispetto alle cause di sgretolamento degli Stati nazionali: deve concentrarsi sulle migrazioni mondiali della povertà, invece che della ricchezza. Mentre la ricchezza circola ovunque, la povertà del mondo, evocata dal colonialismo, ha cominciato a muoversi sempre più massicciamente verso l’occidente. Sulla nuova scala mondiale non basta dunque più, alla sinistra, rivendicare continuamente e solamente diritti per i cittadini che votano; la sinistra deve fare la cosa opposta: deve prospettare doveri per chi vota e diritti per chi non vota. Ciò che la sinistra deve fare è, in specie, la cosa politicamente più difficile, eppure assolutamente necessaria: proporre l’assunzione di doveri a chi finora avuto solo diritti e viceversa. Doveri per i ricchi, perché possano restare ricchi; diritti per i poveri, perché possano diventare meno poveri. Fuori dai domini della filantropia, alcuni lungimiranti tentativi di iniziativa politica in questo senso sono stati fatti, soprattutto in materia di debiti del terzo mondo e di immigrazione. Ma non basta: l’impegno finora espresso sulle povertà del mondo non è neppure comparabile con quello, tutto domestico, che nel secolo scorso cominciò con la Poor Laws, a favore delle classi povere. Eppure, nonostante l’apparenza, dovrebbe essere evidente che l’interesse per una nuova azione politica di sinistra è ancora generale e rilevante, ora come allora, anche se va spostato, dalla scala nazionale alla scala mondiale: ora come allora, non ci possono essere stabilità e pace se ci sono diritti senza doveri. E’ solo così, se la sinistra avrà la capacità di organizzarsi ed impegnarsi su nuovi obiettivi di solidarietà, è solo così che si potrà dire: il futuro dell’occidente è a sinistra, la sinistra è il futuro dell’occidente.
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