IV.
Due passeggeri in uno scompartimento ferroviario. Non sappiamo nulla della loro storia, non sappiamo da dove vengono, né dove vanno. Si sono sistemati comodamente, hanno preso possesso di tavolino, attaccapanni, portabagagli. Sui sedili liberi sono sparsi giornali, cappotti, borse. La porta si apre , e nello scompartimento entrano due nuovi viaggiatori. Il loro arrivo non è accolto con favore. Si avverte una chiara riluttanza a stringersi, a sgombrare i posti liberi, a dividere lo spazio disponibile del portabagagli. Anche se non si conoscono affatto, fra i passeggeri originari nasce in questo frangente un singolare senso di solidarietà. Essi affrontano i nuovi arrivati come un gruppo compatto. E’ loro il territorio che è a disposizione. Considerano un intruso ogni nuovo arrivato: La loro consapevolezza è quella dell’autoctono che rivendica per sé tutto lo spazio. Questa visione delle cose non ha una motivazione razionale ma sembra essere profondamente radicata.
Eppure quasi mai si arriva a uno scontro aperto. Ciò si deve al fatto che tutti i passeggeri sottostanno a un insieme di regole sulle quali non possono influire. il loro istinto territoriale viene frenato ad un lato dal codice istituzionale delle ferrovie, dall’altro da norme di comportamento non scritte, come quelle della cortesia. Quando ci si limita a qualche occhiata e a mormorare fra i denti formule di scusa. I nuovi passeggeri vengono tollerati. Ci si abitua a loro. Ma restano bollati, anche se in misura decrescente.
Questo innocente modello non è privo di lati assurdi. Lo scompartimento ferroviario è un soggiorno transitorio, un luogo che serve solo a cambiar luogo. E’ destinato alla fluttuazione. Il passeggero è di per sé la negazione del sedentario. Ha cambiato un territorio reale con uno virtuale. Ciononostante difende la sua precaria dimora con silenzioso accanimento.
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V.
Ogni migrante provoca conflitti, indipendentemente dalle cause che l’hanno determinata, dagli scopi che si prefigge, dal fatto che sia spontanea o coatta, dalle dimensioni che assume. L’egoismo del gruppo e la xenofobia sono costanti antropologiche che precedono ogni motivazione. Il fatto che siano universalmente diffuse dimostra inequivocabilmente che sono più antiche di ogni forma di società conosciuta.
Per porre loro un argine, per evitare continui spargimenti di sangue, per rendere possibile un minimo di scambi e di relazioni fra diversi clan, tribù, etnie, le società più antiche hanno inventato i tabù e i rituali dell’ospitalità. Queste misure tuttavia non annullano lo status dello straniero. Anzi lo circoscrivono entro rigidi limiti. L’ospite è sacro, ma non può rimanere.
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VI.
Ora altri due passeggeri aprono la porta dello scompartimento. A partire da questo momento cambia lo status di quelli entrati prima di loro. Solo un attimo prima erano loro gli intrusi, gli estranei; adesso invece si sono improvvisamente trasformati in autoctoni. Appartengono al clan dei sedentari, dei proprietari dello scompartimento e rivendicano per sé tutti i privilegi che questi credono spettino loro. Paradossale appare in questo contesto la difesa di un territorio “ereditario” appena occupato, e degna di nota la totale mancanza di empatia per i nuovi arrivati che si accingono a combattere contro le stesse resistenze e devono sottoporsi alla stessa difficile iniziazione a cui si sono dovuti sottoporre i loro predecessori; peculiare con quanta rapidità si riesca a dimenticare la propria origine che viene nascosta e negata.
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