Senza memoria non c’è futuro
Intervento al Comune di Palermo l’8 luglio 2006 sui fatti del 5 luglio 1960 a Licata
Avevo 21 anni. Mi trovavo a Canicattì ed ero molto attivo ed impegnato nella sinistra del PSI e precisamente nell’ala facente capo a Lelio Basso. Leggo sui giornali l’annuncio della manifestazione di Licata del 5 luglio 1960. Il clima è teso: si sentiva l’avvicinarsi del temporale, della rottura politica.
A Palermo il governo Majorana ed a Roma il governo Tambroni si reggono il primo con l’apporto organico, il secondo col voto aperto e richiesto del MSI. Vado di prima mattina il 5 luglio, con la “littorina”, da Canicattì a Licata. Uscito dalla stazione mi fermano dei giovani, che pensando fossi un deputato, senza neppure chiedermi di che partito, mi intimano di andare via. “Non vogliamo – dicono – alcun rappresentante della forze politiche - Siamo contro tutti i partiti”.
Avevo sotto il braccio “ABC”, un settimanale allora di lotta, del gruppo del “Giorno” di Milano, finanziato dall’ENI. Dico che sono un giornalista di “ABC”. Mi lasciano passare. Vado in centro, e seguo il corteo. Poi, seguendo gruppi di manifestanti, ritorno verso la ferrovia e trovo che l’hanno occupata, bloccando i binari ed i treni.
Una folla immensa e pacifica di disperati. Maggioranza giovani.
Non ricordo che la Polizia, presente in forze notevoli, avesse suonato la tromba, per annunciare l’attacco. A chi poi: ad una folla disarmata? – Comunque sono certo che non lo fece.
Spararono ad altezza d’uomo. Vidi cadere nel sangue, a meno di un metro da me, un giovane lavoratore, che poi seppi essere Vincenzo Napoli. Lottava per il pane ed ebbe il piombo. E’ un eroe del lavoro che non c’era, l’eroe di una lotta “mancata”; e dirò perché.
Nel febbraio 1960 cade nell’ignominia della corruzione - (caso Santalco, in cui fu implicato un alto dirigente del PCI dell’epoca, oggi riformista dichiarato) - il governo Milazzo, che rappresentò una delle fasi a mio avviso più arretrate, regressive, della storia del M.O. siciliano.
Il suo vice ed assessore alle finanze, il barone Majorana della Nicchiara, rappresentante della classe più reazionaria dell’isola, gli agrari, ed altri due assessori dello stesso governo Milazzo (Romano Battaglia e Pivetti, entrambi ex monarchici come Majorana), ne avevano provocato la crisi, unendo i loro voti al resto della destra: MSI e DC dell’epoca: quella DC, si badi, che nel settembre 1961, con D’Angelo, realizzerà il primo governo di centro sinistra dell’isola.
Nel marzo 1960 si forma il governo Tambroni con l’appoggio richiesto e quindi aperto del MSI.
C’era stata nel paese – in una fase economico sociale di transizione dello sviluppo capitalistico – una forte virata a destra, a livello politico istituzionale.
Quale fosse in quel tempo la tragica situazione economica e sociale della Sicilia occidentale è noto. I capitali si erano spostati dall’agricoltura all’industria dell’edilizia, in particolare nel settore degli appalti dei lavori pubblici, dove, usufruendo di notevoli agevolazioni-regalie regionali, venivano realizzati alti profitti. Pesante era, come è tuttora, la presenza della mafia anche in questo specifico settore e, quindi, elevatissimo lo sfruttamento della forza lavoro. Per cogliere la drammaticità della situazione sociale basti considerare un solo dato: nella prima metà del ’60, in soli cinque mesi, 1500 lavoratori erano stati costretti ad emigrare in cerca di lavoro solo da Licata: una media di 300 lavoratori al mese.
Nell’aprile del ’60, tre mesi prima del tragico 5 luglio di Licata, si era svolto a Palma, organizzato da Danilo Dolci, il convegno sulle “condizioni di vita e di salute nelle zone arretrate della Sicilia occidentale”.
Vi parteciparono l’odierno Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Silos Labini, che di recente abbiamo perduto e che ricordo con commozione come mio maestro, Li Causi, Sciascia, Carlo Levi, Ignazio Bulletta, Simone Gatto.
Vi intervenne anche Milazzo, che vi sostenne la tesi reazionaria, qualunquista e piagnona che l’unico colpevole del degrado di Palma e Licata era da individuare nello Stato, assolvendo da ogni responsabilità, in tale prospettazione, le classi dirigenti dell’isola: agrari ed imprenditori dell’edilizia, padroni delle miniere, etc, tutti strettamente legati politicamente alla borghesia nazionale ed ai partiti che la rappresentavano, e con profondi, radicati rapporti di scambio con la mafia.
Subito dopo detto convegno, nel maggio 1960, una mozione votata dall’assemblea regionale siciliana a stragrande maggioranza, e quindi da DC, MSI, monarchici ed ampi settori della sinistra, impegnò il governo “a predisporre un piano di risanamento di Licata e Palma e ad adottare immediate iniziative per la costruzione della diga sul fiume Palma e sul fiume Salso, che, con la creazione di vaste zone irrigue, (potesse) determi(nare) l’elevazione del reddito; etc…”
Nulla di tutto ciò, dopo 46 anni, è stato realizzato, e la colpa è della Regione Siciliana, delle classi dirigenti dell’isola, della borghesia mafiosa che tuttora la domina.
Nei primi anni ’70 la Regione deliberò la realizzazione di un piano urbanistico intercomunale Palma - Licata, su progetto dell’arch. Calandra, con uno stanziamento di 10 miliardi di lire.
Si svolse in merito anche un’assemblea con i Sindaci delle due città ed i rappresentanti di tutte le categorie sociali e dei sindacati.
Nulla di detto piano, che prevedeva la costruzione di ospedali, la creazione della zona industriale e l’assetto delle infrastrutture di base in tutto il territorio, è stato realizzato dalla Regione.
La colpa non è evidentemente dello Stato, in quanto tale, ma della Regione, anzi delle classi dirigenti che l’hanno governata e governano ancora oggi.
Il manifesto degli studenti di Licata, che, assieme ad un indistinto comitato promotore, chiamava alla rivolta l’intera popolazione il 5 luglio, dopo aver denunciato il degrado economico e sociale della città, con il 50% di analfabeti, con migliaia di tubercolotici e di tracomatosi, con migliaia di tuguri ed il drammatico problema dell’acqua (tuttora in gran parte irrisolto), diceva: “Questa è la realtà dopo 15 anni di progresso (1945 – 1960). Vergognatevi tutti, voi così detti onorevoli, vergognatevi, voi uomini del governo (attuale) e dei governi passati (tutti), che avete strombazzato miliardi e avete dato pidocchi”.
Era certo espressione della disperazione, ma non possiamo non dire che era una posizione ingenua, immatura, che rimaneva nell’indistinto; figlia della cultura del tutti uniti (embrassons nous) contro un potere vago ed indefinito, una posizione qualunquista che non mordeva la realtà, era anzi impotente ad affrontarla ed aggredirla con le armi della critica e della lotta di classe, e, quindi, ne rimaneva succube.
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Nota
Quello che qui ho postato è la parte fondamentale di una testimonianza che Luigi Ficarra fornì sugli accadimenti a Licata del luglio 60 in un convegno palermitano del 2006, pubblicata sul sito "per la sicilia" da cui l'ho ripresa (http://www.perlasicilia.it/collaboratori/Ficarra_Luigi/5%20luglio%201960%20a%20Licata.HTM) e, qualche giorno fa, su "Liberazione". Il testo nella sua ultima parte, qui non riproposta, contiene una durissima valutazione del milazzismo che nella sostanza condivido, ma non lega molto con la linea fattuale che ho scelto per questi post sui fatti di 50 anni fa.
A Ficarra ha replicato, sullo stesso quotidiano, Emanuele Macaluso con una sorprendente durezza e uno stile intimidatorio e di attacco personale che sembra recuperare i toni dello stalinismo. Macaluso sembra tuttora rivendicare la giustezza della linea seguita dal Pci siciliano ai tempi dell'operazione Milazzo. Sul tema ho già proposto in questo spazio una riflessione (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2009/12/sicilia-il-fantasma-del-milazzismo.html), ma vorrei tornarci nelle prossime settimane.
Sul sito "per la sicilia", oltre che il testo integrale di Ficarra e lo sprezzante intervento di Macaluso, si può recuperare una bella pagina curata dallo storico Salvatore Vaiana utilissima ad ampliare il quadro sul luglio 60 (http://www.perlasicilia.it/sezione/storia/argomenti/luglio_1960.HTM). S.L.L.
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