13.7.10

Ancora a Reggio Emilia. "Tambroni e il suo Governo"

Fernando Tambroni (1901 - 1963)

La vicenda del governo Tambroni si iscrive nella crisi del centrismo e della centralità democristiana. Il 21 febbraio 1960 cade il governo Segni, traballante monocolore dc sostenuto dai liberali, che deve trovarsi in Parlamento i voti di maggioranza e che spesso li trova nella destra monarchica e fascista. La soluzione della crisi appare difficile. Si parla di apertura a sinistra, di un coinvolgimento del Psi nella maggioranza, ma contro questa ipotesi c’è un vero fuoco di sbarramento: la Confindustria e la gerarchia ecclesiastica esplicitamente e platealmente, discretamente gli americani. La destra democristiana di Scelba, Restivo e Scalfaro lancia minacce di scissione al segretario del partito, Aldo Moro. Segni, incaricato di costituire il governo, rinuncia. Gronchi, presidente della Repubblica, affida l’incarico per un “governo di affari limitato nel tempo”, in attesa di un chiarimento politico, a Fernando Tambroni, che il 24 marzo scioglie la riserva e presenta la lista dei ministri. Gronchi è il vero e proprio sponsor di Tambroni e s’incarica di cercare per il suo pupillo voti di fiducia e benevolenze a sinistra, tra socialdemocratici e socialisti. Tambroni cerca appoggi a destra.
Quando ai primi d’aprile si presenta alla Camera per la fiducia chiede, untuoso, un giudizio non prevenuto sul proprio programma. Ottiene attenzioni soprattutto dal Msi neofascista, al tempo guidato da Michelini, che persegue con qualche successo una strategia di inserimento, tesa ad ottenere per gli uomini del milieu postfascista incarichi nell’esercito, negli enti pubblici e nei ministeri e finanziamenti per le strutture sportive e associative del partito che si richiama alla Repubblica di Salò. Il missino Roberti riconosce a Tambroni, nel suo discorso parlamentare, “energia contro i sovversivi” e gli chiede di continuare così. Alla Camera il nuovo governo ottiene l’8 aprile la fiducia con una maggioranza di soli tre voti, garantita oltre che dalla Dc, dal Msi e da alcuni indipendenti di destra. I tre ministri della sinistra democristiana in questa situazione si dimettono e il governo non riesce a riunirsi. Il presidente del Senato Merzagora, a questo punto, prospetta l’irregolarità di una sua presentazione al Senato e Tambroni si dimette, pur restando in carica per gli affari correnti.
E’ Fanfani, questa volta, a ritentare il centrosinistra, ma il 22 aprile, vista l’opposizione di mezza Dc, rinuncia. Gronchi, a questo punto, incoraggia Tambroni. Lo invita a presentarsi al Senato per la fiducia (senza ripetere il passaggio alla Camera) onde completare l’iter parlamentare. Il governo è diverso da quello presentatosi alla Camera (mancano i ministri dimissionari) ed è diverso anche il programma. Le sinistre denunciano la dubbia costituzionalità della procedura, ma Tambroni opera una forzatura e passa al Senato con una ristretta maggioranza che ha la stessa composizione politica di quella della Camera: Dc, missini e indipendenti di destra.
Ma chi è questo Fernando Tambroni Armaroli (tale è il nome completo)? Ha 59 anni e una carriera politica che comincia negli anni 20. Nel 1925 era segretario provinciale ad Ancona del Partito popolare di don Sturzo, ma l’anno dopo aveva firmato e reso nota una spettacolare abiura: “Il sottoscritto dichiara nel suo onore di cittadino e di italiano di abiurare la precedente fede politica […] e riconosce in Benito Mussolini l’uomo designato dalla provvidenza di Dio a forgiare la grandezza di un popolo”. Nel Pnf non fece una grande carriera, raggiunse il grado di centurione della milizia e praticò l’avvocatura. Alla caduta del regime questa sua posizione defilata ne favorì la carriera politica nella Dc, ove si pose sotto la protezione di Tupini. Fu deputato alla Costituente, sottosegretario in diversi governi De Gasperi, ministro della Marina mercantile nei governi Fanfani, Pella e Scelba; ministro dell’Interno nel primo governo Segni, in quello di Adone Zoli e nel secondo gabinetto di Fanfani, 4 anni in tutto. Nel gabinetto Segni appena caduto era stato ministro del Tesoro e del Bilancio.
Era soprattutto agli Interni che la sua presenza s’era fatta sentire. Mentre va attribuito a Scelba il “merito” di aver costruito la Celere, specializzata nella repressione violenta, e in più casi assassina, delle manifestazioni popolari, è tutta di Tambroni la gloria dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero che, anche dopo di lui, per vent’anni rimase al centro di una intensa attività di spionaggi, infiltrazioni, complotti, dossieraggi e ricatti. L'attività della polizia e dei carabinieri, grazie a Tambroni, fu orientata verso il controllo sistematico, non più soltanto degli uomini di opposizione, ma anche di esponenti dc, di uomini della Chiesa e dell’industria. La raccolta di informazioni esponeva non pochi al ricatto e Tambroni, per quel che se ne è riferito, usava assai spregiudicatamente e perfino platealmente del suo potere. Raccontò Mariano Rumor che, tra il serio e il faceto, Tambroni comunicava sovente ai suoi amici di partito di conoscerne le magagne e che perciò si regolassero.
Nonostante questa fisionomia poliziesca, da Fouché, Tambroni, nella geografia interna delle correnti Dc stava a sinistra, con Fanfani. Era un "gronchiano": e Gronchi, eletto Presidente della Repubblica da un composito schieramento che comprendeva democristiani dissidenti, sinistre e missini, si proclamava aperto alle istanze sociali, anche se in un lontano passato aveva fatto parte del governo Mussolini e ora lasciava trasparire simpatie "golliste".
Appena ottenuta la “fiducia” del senato nuovo il capo del governo avviò, in sintonia con il ministro dell’Interno, il debole Spataro, e con il sottosegretario Scalfaro, della destra scelbiana, un classico “movimento” di prefetti e di questori. C'era, verso la sinistra, un clima di intimidazione evidenziato da diversi episodi. In molte città, infatti, si vietavano “per motivi di ordine pubblico” le manifestazioni sindacali e della sinistra, mentre si autorizzavano e proteggevano le sfilate neofasciste. Ad Ascoli Piceno il prefetto aveva impedito l’affissione del manifesto che riproduceva l’antica abiura di Tambroni. Qualche giorno dopo il 25 aprile ad Almirante fu permesso di tenere un provocatorio comizio a Reggio Emilia, davanti al sacrario dei partigiani, ma poi un’imponente manifestazione popolare lo costrinse a fuggire. Quasi a far vendetta a maggio la polizia picchia i cittadini che ascoltano a Bologna un comizio del comunista Giancarlo Pajetta. Il Questore aveva tentato di interrompere il comizio perchè non gli piacevano le sue dichiarazioni ("lei questo non lo può dire") e aveva sciolto la manifestazione. I divieti d'affissione per i manifesti scomodi e l'arbitrario scioglimento poliziesco delle riunioni politiche erano evidentemente anticostituzionali, ma erano possibilità contenute nelle leggi di pubblica sicurezza del codice Rocco, elaborato sotto il fascismo. La Dc s'era guardata bene dall'abrogarle, anche se prima di Tambroni la Dc le aveva applicate con una certa misura.
Negli stessi giorni e mesi non mancano mosse che vorrebbero attirare verso Tambroni le simpatie popolari, la consistente riduzione del prezzo della benzina e dello zucchero, per esempio, o le inaugurazioni a gogò di impianti sportivi in vista delle imminenti Olimpiadi romane (che si svolgeranno in agosto). I rapporti di Tambroni con Mattei sono eccellenti, ma ora egli cerca l'appoggio dei grandi imprenditori privati, con i cui rappresentanti s'incontra, promettendo un governo forte. Gode dell’appoggio esplicito di una parte della Curia, guidata dai cardinali Ottaviani e Siri, che al momento appare maggioritaria. Il 18 maggio l'"Osservatore romano" si schiera esplicitamente a favore del governo Tambroni e contro ogni diabolica “tentazione” di centrosinistra: è il famigerato editoriale Punti fermi.
La spinta maggiore per Tambroni a forzare i tempi verso una stretta autoritaria verrà, come è noto, dal Msi, che già a metà maggio fa conoscere la sua intenzione di tenere il suo Congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, ed ottenere così una vera e propria rilegittimazione del fascismo. Una prima risposta di Tambroni a queste voci è la scelta come questore di Genova di un poliziotto già collaborazionista di Salò, notoriamente simpatizzante per la destra, Lutri. Lo scontro con la sinistra è ormai nelle cose.
Sul governo Tambroni mi pare abbia scritto parole definitive Ferruccio Parri: "E' stato tipico della breve stagione governativa tambroniana in gran parte d'Italia lo zelo prefettizio e poliziesco a gelosa difesa della immacolata reputazione del governo... E' forse mai venuto alla superficie un fondaccio così nero di odio di classe, di rozzo fanatismo in gruppi di bassa forza, che apre prospettive preoccupanti, più ancora che sui pericoli di domani, su un vuoto pauroso, e non si sa quanto colmabile, di educazione elementare" (Prefazione a G.Bigi, I fatti del 7 luglio, Reggio Emilia 1960, ristampa anastatica 1975).

Dopo i fatti di luglio, Fernando Tambroni Armaroli, rientrò nell’ombra e morì, relativamente giovane, soltanto tre anni dopo. Tutto questo ha aiutato a stendere un velo di pietoso silenzio non solo e non tanto su di lui, quanto sul fatto che non si trattava di un signore che passava di lì per caso, ma di un uomo di punta della Dc, uno che aveva condiviso con Fanfani la guida della corrente di sinistra, dell’uomo di fiducia del presidente Gronchi, di un politico che vantava un rapporto solidissimo con il potente Enrico Mattei. Si scaricava su di lui (e, tutt'al più, su Gronchi) la responsabiltà dei fatti del "luglio 60", anche per far dimenticare le responsabilità dei molti dc che lo avevano sostenuto fin quasi sul baratro del golpe. Al silenzio sulle responsabilità, se non altro di omissione, del partito democristiano e di alcuni suoi uomini di grande peso (come Aldo Moro, in quel momento segretario nazionale del partito), contribuirono negli anni seguenti anche Psi e Pci, interessati ad un dialogo o a una vera e propria alleanza con la "balena bianca".

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