15.7.10

Un messaggio nella bottiglia. Frane e dissesto idrogeologico: un appello al Comitato per l'acqua pubblica.

Da qualche tempo il quotidiano “La Stampa” di Torino usa di tanto in tanto l’ultima pagina per un rubrica dal titolo Domande & Risposte, nella quale si tenta di fare il punto, con chiarezza di esposizione e di linguaggio, su una questione di grande interesse nazionale. Il 21 aprile scorso il tema era Perché così tante frane in Italia? e la stesura del testo era curata da Carlo Grande. L'ho trovato allarmante e ho pensato alla violenta e odiosa politica che ci governa: per quel che concerne l'irresponsabilità ambientale è spesso bipartisan.

Credo perciò che, questa volta, l’opposizione di sinistra, per quanto oramai extraparlamentare, non possa limitarsi ad attendere i disastri della stagione delle piogge. E neanche a criticare il taglio dei fondi per la prevenzione del rischio frane, già molto esigui. O a stigmatizzare le ulteriori prospettate cementificazioni, grandi opere, condoni etc., tali da rendere più probabili e più tragici gli smottamenti e i crolli dovuti al dissesto idrogeologico.

Lasciamo da parte i partitini, che, seppure con lodevoli eccezioni locali o personali, mi sembrano del tutto inadeguati. Penso a un più vasto mondo associativo che comprende il volontariato impegnato sull'ambiente e quello impegnato sulla legalità costituzionale e si estende a pezzi di Cgil e di sindacalismo di base. E' tempo di muoversi per tempo.

Questo mio articoletto, che contiene in appendice una sintesi delle informazioni diffuse da “La Stampa”, ha peraltro un destinatario principale e contiene una proposta, anche se, per i modesti mezzi di cui dispongo, è un po’ come un messaggio nella bottiglia. Spero che chi per caso legga e per convinzione condivida faccia girare questo testo o uno analogo nella rete, in modo che possa giungere a destinazione.

A chi? C’è un comitato, benemerito, per i referendum sull’acqua bene pubblico: credo che non possa considerare esaurita la sua funzione nella raccolta delle firme per la ripubblicizzazione dell’acqua e della sua distribuzione. Penso che possa e debba anche cercare di evitare che l’acqua continui ad essere un “male pubblico”. I tempi sono stretti e non sono belli, ma credo che entro il mese di settembre il comitato possa fare una proposta per un piano straordinario di interventi preventivi, soprattutto in relazione alla gestione delle acque piovane. Alla proposta va collegata qualche forma originale di azione di massa (o di “moltitudine”, se si preferisce), che sfondi il muro dei silenzi mediatici e costringa il governo a provvedimenti già all’inizio dell’autunno, se non altro in direzione della sorveglianza e del “monitoraggio” come del tamponamento delle falle più evidenti. E’ ovvio che, in tempo di crisi, sono di questa natura gl’interventi pubblici migliori, perché rappresentano una risposta sia alla domanda di lavoro sia ai bisogni profondi del territorio e di coloro che lo abitano. C’è anche una obiezione forte che si può opporre ai prevedibili primi dinieghi del governo (questo o un altro, di unità nazionale, cambia poco): che questa delle frane è già un’emergenza, riconosciuta come tale anche da fonti ufficiali. Per intervenire bisogna per forza aspettare che si verifichino le tragedie?

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Frana una parete rocciosa a Ventotene.

Morte due ragazze in gita scolastica.

Appendice

Perchè tante frane in Italia?

L’Italia è quasi totalmente a rischio idrogeologico a causa di cementificazione, condoni edilizi, burocrazia, speculazioni, consumo del territorio e devastazione del paesaggio. Stando a un dossier presentato recentemente da Legambiente, 5581 Comuni - il 70% del totale - sono a rischio elevato. Il 100% del territorio di Calabria, Umbria e Valle d’Aosta è in analoga condizione, nelle Marche il 99% e in Toscana il 98. Sono dati pubblici. L'indagine Ecosistema rischio, che è stata presentata dal capo della Protezione civile Guido Bertolaso pochi mesi fa, contiene la classifica dei Comuni a rischio inondazione, l'elenco dei pericoli per gli abitanti, il conteggio ufficiale dei ritardi imputabili a governatori e sindaci. Si legge ad esempio che la Sicilia è ultima nella graduatoria della prevenzione, con l'8% di interventi per mitigare l'allarme idrogeologico. In Sicilia il 93% dei Comuni sono in zone a rischio, nella lista nera segue la Toscana (91%). In Sardegna c'è la maggior percentuale di Comuni con interi quartieri costruiti in zone a rischio, mentre in Sicilia e Toscana si segnala anche il più elevato numero di Comuni con insediamenti industriali e produttivi in aree esposte a rischio idrogeologico.

Per prevenire frane e tragedie si fa poco o nulla: fango e morte possono colpire dovunque, in montagna o in pianura, nelle metropoli o nei piccoli paesi della pedemontana. Molti sindaci si dichiarano impotenti e quando piove vegliano. Le vittime di Giampilieri, così come quelle dell'alluvione di Messina possono capitare quasi ovunque, in Italia. E tuttavia le cosiddette opere

di «messa in sicurezza» spesso si trasformano in alibi per continuare a costruire. Molti cantieri, spacciati dalle amministrazioni locali per «manutenzione dei bacini» coprono le speculazioni edilizie lungo fiumi e torrenti. Così basta un po’ di pioggia per causare allagamenti e provocare vittime e danni rilevanti.

La gestione delle acque piovane è uno dei grandi problemi ambientali, anche in città. Sarebbe necessario adeguare le reti di raccolta dell’acqua, coniugando sicurezza e recupero della risorsa idrica. Bisogna sorvegliare prima di tutto torrenti e fiumare. Poprio in prossimità di fiumare e torrenti si sono verificati gli eventi peggiori e sono stati compiuti gli scempi più gravi. E’ rischiosissimo costruire nelle aree di esondazione dei corsi d’acqua, e sui versanti franosi e instabili.

Ogni Regione dovrebbe adeguare le mappe di rischio idrogeologico, pianificando la lotta dura contro gli illeciti ambientali, demolendo gli immobili abusivi, delocalizzando rapidamente i beni esposti al pericolo di frane e alluvioni, costruendo edifici che tengano conto del livello e della tipologia di rischio presente sul territorio. Dal disastro di Sarno ad oggi, i morti sono stati oltre 300 e i danni causati dall'acqua ammontano a una decina di miliardi di euro.

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