12.7.10

Jesse James e Salvatore Giuliano. Le vite parallele.


Venerdì sera su Rai3, prima del tempo per via dello sciopero dei tg, la trasmissione di Lucarelli su Salvatore Giuliano. Bella e rigorosa come sono in genere le trasmissioni di Lucarelli: ritmo incalzante, informazioni attendibili, testimonianze autorevoli e soprattutto la capacità di centrare l’attenzione sulle domande più inquietanti, quelle che spingono il telespettatore a non contentarsi della pappa pronta che qualcuno ammannisce ed a cercare ancora, magari per proprio conto. Così, ad esempio, su Portella della Ginestra, sulla dinamica dei fatti, sulla inattendibilità delle versioni ufficiali, sui mandanti, sui complici: un mistero certo, ma un mistero su cui si sono aperti alcuni squarci. Così sulla morte del bandito su cui si accavallarono diverse (e tutte incredibili) “versioni ufficiali” e su cui opportunamente Lucarelli cita un celebre articolo di Tommaso Besozzi su “L’Europeo”: Di sicuro c’è solo che è morto.
Alcuni aspetti della vicenda mi pare siano stati colti in maniera originale: la costruzione del “mito” cui lo stesso Giuliano con coraggio e intelligenza coopera, il ruolo della stampa nella sua fabbricazione, l’utilizzazione spregiudicata che diversi potentati fanno sia dell’uomo che del mito. C’è anche il tradimento finale. E poi la fine, drammatica, del traditore, quel Gaspare Pisciotta cugino e luogotenente del bandito che al processo di Viterbo gridò: “Siamo un corpo solo, banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo”.
L’immagine poliedrica di Giuliano (il vendicatore dei poveri contro la “sbirraglia”, il combattente per la libertà e l’indipendenza della Sicilia, il fuorilegge galante e gentiluomo, il Robin Hood che toglie ai ricchi per dare agli indigenti) e la sua biografia romanzata diventano tema di lunghe ballate. Erano in molti i cantastorie siciliani che avevano in repertorio una “vera storia di Turiddu Giulianu” (ciascuno la sua), la più bella e la più celebre fu quella del grande Ciccio Busacca (Turiddu ca nun c’era abituatu ni li muntagni a fari lu banditu), piena di episodi sorprendenti. Su Giuliano, eroe locale rimasto emblematico di una subcultura popolare usata ed emarginata dai potenti, non vennero film italiani del genere avventuroso: solo l’asciutto (e bellissimo) Salvatore Giuliano di Rosi, un capolavoro della cinematografia impegnata e civile.
Una maggiore fortuna toccò a Jesse James che, quasi un secolo prima di Giuliano e in un altro continente, descrisse con la sua vita e la sua leggenda una parabola che con quella di Salvatore Giuliano sembra avere molti punti di contatto. Intanto perché anche la sua storia si presenta in continuità con una guerra (in questo caso la guerra di secessione) che abitua alla violenza e all’uso delle armi e rende familiari le tecniche della guerriglia. C’è anche in questo caso, nel Missouri, un potere che da una parte della popolazione viene sentito come estraneo e arbitrario, una, non del tutto domata, pulsione separatista, un bandito crudelissimo a cui però, ad un certo punto, piace la parte dell’eroe e un giornalista arruffapopolo che costruisce il mito che, sviluppandosi in un ambito più vasto, risulterà più produttivo di film e ballate rispetto a quello di Giuliano. Anche qui c’è un tradimento, un compagno avido che per amore della taglia gli spara mentre sta appendendo un quadro. Chissà che faceva Giuliano quando Gaspare Pisciotta (o chi per lui) lo uccise?-
P.S. Per un approfondimento su Jesse James si veda il post immediatamente seguente

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