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24 gennaio 1913
E’ l’ora triste, l’ora in cui ogni viaggiatore si domanda a quale scopo ha lasciato l’Italia bella, anticipandosi questo viaggio infernale. Distolgo lo sguardo dallo scenario triste. Siamo nel dining-car; indugiamo dopo il caffè, per avere intorno l’illusione di un po’ d’Europa che viaggia con noi, l’illusione che emana dalle vernici, dagli specchi, dalle stoviglie, dai cibi stessi, dalle salse chiuse in barattoli inglesi. Very comfortable, queste carrozze amplissime, dal doppio tetto spiovente, aerate da un triplo ventilatore, ma il congegno s’è guastato e funziona il panka, un ventaglio immenso appeso al soffitto, che un servo indiano agita con una corda dal fondo della carrozza. Tutte le tavole sono occupate: funzionari inglesi, commercianti parsi, dignitari afgani. Al tavolo si sono sedute due francesi incontrate a Bombay, conosciute per caso, leticando all’agenzia Cook, e ritrovate qui, ancora per caso, con reciproca effusione di schietta esultanza. Fra tanti sconosciuti di tutti i colori, fra tante orribili favelle dove l’inglese degenere è l’unica intellegibile, il francese, seppure sulle labbra ritinte di “due pellegrine esuli dame”, ci suona come una lingua di casa. Signore con le quali si allibirebbe di mostrarci in una via europea tanto sono imbellettate, ossigenate, inorpellate, impennacchiate, ma che qui, nel cuore dell’India sacra, aggiungono al paesaggio uno stridore pittoresco. Madame Angot, che ho sognato a Golconda, rivive dunque ancora nelle pronipoti senza paura! Gia a Bombay ci avevano raccontato le loro gesta e le loro disavventure. Giovani, una giovanissima, parigine entrambe – parigine di Marsiglia o di Bordeaux – e nate all’arte, votate all’arte, hanno peregrinato come “duettiste” in tutti i caffè chantants della Tunisia e dell’Egitto. A Port-Said un impresario le ha scritturate per le colonie dell’Africa Orientale fino a Zanzibar. Da Zanzibar sono fuggite con due ufficiali inglesi riparando a Bombay. Sole, sperdute ancora una volta, hanno tentato l’avventura a Calcutta. Deluse si dirigono oggi a Simla, nel Cachemire, per cantare in un music-hall che si inaugura con la stagione elegante. Disfatte dal clima e dai disagi, lasse per troppe soste in troppe guarnigioni fameliche, sanno tuttavia conservare nella parola arguta, nel gesto con il quale alternano il sorriso alla sigaretta, nella civetteria del ginocchio sovrapposto, la grazia francese unica al mondo! E guardo e ammiro queste due passere sbandite che portano fino in queste solitudini il loro sorriso intrepido e la loro gaia mercatanzia.
Nota
Morì giovane Guido Gozzano e, forse, sotto il profilo estetico, lo desiderava: il personaggio che aveva modellato nel suo grande romanzo in versi (I colloqui) non avrebbe sopportato lo sfregio dell’invecchiamento fisico. E però per la sua morte precoce (non aveva neanche compiuto i trentatre anni di Cristo), esattamente 94 anni fa, il 9 agosto 1916, soffriamo noi, suoi ammiratori. Chi ha letto Verso la cuna del mondo, il libro che raccoglie i suoi articoli dall’India per “La stampa”, “La lettura” e “La donna”, insieme ad altri scritti di viaggio che non fece a tempo a pubblicare, rimane colpito dalle sue straordinarie qualità di narratore e di prosatore. Il brano che ho proposto qui sopra, per esempio, mi pare un piccolo capolavoro per la rapidità con cui Gozzano riesce a rappresentare una situazione complessa e la partecipazione con cui comunica e condensa la vicenda dura e bella di due giovani, magnifiche ribelli. (S.L.L.)
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