29.8.10

Tripoli 1911. Il volto della guerra (di Luigi Lucatelli, da "l'Unità" 13 novembre 1989).


E’ tornato Gheddafi. Giornali e tv riferiscono: dei suoi movimenti a Roma, della grande tenda, dei cavalli berberi, degli incontri del leader libico con il suo omologo italiano.
Qualcuno mette a confronto l’ego dei due per vedere chi ce l’ha più grande. Qualche altro, per fortuna, chiede conto all’uno e all’altro del trattamento dei “respinti”, degli immigrati fermati in mare e inviati in Libia, persino quando avrebbero diritto all’asilo politico previsto dal diritto internazionale. E’ qui si apre un’altra gara: se producano più strage di legalità e di umanità i lager di Berlusconi o quelli del suo omologo libico.
Sulle condizioni delle persone in questi inferni abbiamo visto arrivare negli ultimi giorni sulla rete testimonianze e denunce che producono orrore, disgusto e rabbia. A questo blog vorrei perciò dare un altro compito. Gheddafi, prima della trionfale riappacificazione propiziata da D’Alema e realizzata da Berlusconi, aveva spesso rievocato e condannato con parole durissime la brutale aggressione italiana alla Libia nel 1911 e la pesante occupazione coloniale, contro cui per lungo tempo si era sviluppata una forte e duratura resistenza indigena. La repressione italiana, con le condanne a morte, le massicce deportazioni, i campi di concentramento, fu tra le più sangunose e devastanti.
Per ricordare l’invasione italiana della Libia ho recuperato una vecchia pagina de "l’Unità", del 13 novembre 1989, curata da Wladimiro Settimelli. L’organo del Pci, infatti, riproponeva una rappresentazione dal vivo dei giorni “gloriosi” del 1911, pubblicando una campionatura breve, ma significativa di un “instant book” dell’epoca, opera di un giornalista e uomo di lettere, collaboratore di vari quotidiani e riviste ma non molto famoso, che raccontò le vicende della guerra appena rientrato da Tripoli con il primo ricambio di truppe.
Si firmava Luigi Lucatelli, ma il suo vero nome era Oronzo E. Marginati e della sua storia personale, soprattutto dopo il rientro dalla Libia, Settimelli nulla dice. Con qualche ricerca in Internet ho appurato che morì nel 1915, poco più che quarantenne e che di lui piacquero soprattutto i racconti umoristici.
Ben poco di umoristico c’era invece nel libretto antologizzato da “l’Unità” , Il volto della guerra, edito dalla Casa editrice Carra & Bellini, il racconto, dopo la conquista italiana di Tripoli, dell’inaspettato attacco dalle oasi con la strage dell’11° Reggimento Bersaglieri e della rappresaglia dell’esercito coloniale.
Lucatelli-Marginati – lo spiega nella prefazione - è entusiasta sostenitore dell’avventura libica, che, a suo dire, si collega al Risorgimento, vendica Adua e porta la civiltà (così scrive in linguaggio aulico dai toni romantici), ma dalle sue pagine, nonostante l’ideologia colonialistica, emerge un sentimento di pietà non solo per i morti italiani, ma anche per i condannati a morte libici. La rappresentazione della verità della guerra ne coglie, anche involontariamente, l’ingiustizia e l’orrore e s’incontra con un diffuso sentimento popolare. Sarà forse questa la ragione del “notevole successo” che ebbe al suo tempo il libretto. Riporto qui tre brevi brani sulla rappresaglia italiana. I titoli sono miei (S.L.L.)

In un cortile
Lo conduciamo fuori, in un piccolo cortile bianco e deserto, pieno di sole. C’è un azzurro meraviglioso, e centinaia di uccelletti garriscono tra le palme, a volte. Poi si è fatto un silenzio mirabile, un silenzio caldo ed estatico.
- Pronti! ha mormorato il sergente…- Il rumore della fucileria ha fatto volar via gli uccelletti, con grida spaventate, l’uomo è caduto in ginocchio, con le mani innanzi…
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Nelle viscere della terra
Se ne sono fucilati dappertutto. A Bu- Melianah c’era una fossa enorme, in cui si scendeva per un declivio angusto, una fossa scavata nel terriccio morbido e caldo, che aveva un sinistro aspetto di ferita gigantesca.
Gli uomini vi venivano gettati dall’alto, poi un soldato scendeva giù per declivio e si udiva una serie di colpi sordi, come sparati nelle viscere della terra.
E il soldato risaliva, solo.
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Come una schiera di fantasmi
Accompagnati dagli zaptiè, tra due file di solfati, i 14 prigionieri sono giunti, bendati, ai piedi del patibolo con un calpestio di piedi nudi striscianti nel fango, un borbottio di voci sospirose.
Li abbiamo intesi venire di lontano, nella notte, e tutti, abbiamo inteso, insieme, che il nostro cuore batteva profondamente, in una inesplicabile pena.
Li hanno fatti salire sopra un’asse mobile, poi gli zaptiè hanno aggiustato loro al collo il capestro. Allora quella sinistra fila di figure bianche erte nelle tenebre come una schiera di fantasmi ha cominciato a singhiozzare con piccole voci gementi. Due si sono chiamati fra loro, nel buio, disperatamente.
Un vecchio ha levato il volto bianco nell’albore cinereo della prima luce, e ha detto con infinita tristezza: - Allah… Sidi Allah – Dio, signore Iddio.
Poi la tavola è caduta con un tonfo sordo: s’è fatto un silenzio orrendo, e tutta la schiera è piombata in basso, dondolando nella penombra…

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