Ci sono compagni delle varie sinistre che, di quando in quando, protestano di fronte all’idea di un’alleanza politica ed elettorale con il Pd. Dicono che quel partito esprime ormai valori e proposte che sono tutti dentro l’orizzonte del capitalismo neoliberista, dall’acqua ai contratti, che il suo cercare sostegni in Vaticano non lo rende affidabile neppure sulla questione minima della laicità, che il suo personale politico è intrigato con l’affarismo d’ogni tipo e che pertanto non si può. Meglio dicono unificare tutto quello che resiste a sinistra, costruire un buon programma di governo, spendibile anche dall’opposizione, attraendo così quell’elettorato che, seppure confusamente, nel Pd s’oppone alla deriva filopadronale. Vendola – dicono – dovrebbe impegnare il suo carisma in quest’impresa.
E’ un ragionamento che non funziona, perché non tiene conto del mutamento profondo che è gradualmente avvenuto nel mondo popolare dopo l’89.
Partiamo dai comportamenti elettorali. Prima d’allora c’erano grandi porzioni dell’elettorato e, in primo luogo, del mondo del lavoro che votavano per l’opposizione. Votavano numerosi per partiti (il Pci soprattutto, ma anche, in misura assai minore, il Psiup, il Pdup, Dp) che, certamente, dopo le elezioni sarebbero rimasti all’opposizione, quand’anche avessero consistentemente aumentato i propri suffragi. Oggi si vota per il governo e pochissimi votano per l’opposizione. Quello ch’era un tempo era voto di protesta diventa nella maggior parte dei casi “non voto”.
Le ragioni sono soprattutto due.
La prima è pratica. Nel sistema politico che si è affermato le assemblee elettive hanno una funzione ridotta e l’opposizione appare ininfluente. Le crisi politiche appaiono più un prodotto delle tensioni interne delle maggioranza che non dell’incalzare delle opposizioni. Il maggioritario all’italiana esige che le maggioranze assembleari siano docile strumento degli esecutivi e non permette a singoli o gruppi il voto in dissenso su singole questioni senza che si parli di “spaccature”. Nella prima Repubblica un’opposizione compatta come quella del Pci poteva strappare riforme sociali importanti in concorso con il movimento sindacale e altri movimenti di massa, giocando sui contrasti delle maggioranze. Nella seconda Repubblica l’opposizione accusa, denuncia, controlla, ma non incide sulle decisioni; insomma conta pochissimo e gli elettori lo sanno. Perciò in gran massa non votano forze che sicuramente andranno all’opposizione e da cui non è possibile aspettarsi nessuna difesa dei propri interessi.
La seconda è storica. La caduta ignominiosa del comunismo novecentesco nell’Est, accompagnata dall’evidente ingordigia di tanti politicanti provenienti dal Pci, ha segnato la fine della speranza nelle classi lavoratrici. I lavoratori d’un tempo soffrivano come adesso lo sfruttamento, ma potevano intravedere un progresso che avrebbe portato alla finale liberazione, se non loro, i loro figli e nipoti. Non è più così. Il sole dell’avvenire non risplende più. Oggi l’elettore operaio e popolano non crede nella possibilità di costruire il futuro con l’azione collettiva. Delega il politico, che del resto è ultra pagato, e vuole i risultati. Subito. E non si lascia attrarre da chi gli prospetta un mondo nuovo domani, visto che il “socialismo realizzato” ha prodotto nuove schiavitù e nuovi privilegi.
Vendola non avrebbe alcun carisma se fosse alla testa di una coalizione di partitini votata alla sconfitta; ridiventerebbe un Bertinotti qualunque. Certamente anche lui appartiene al ceto politico dell’estrema sinistra. E Ferrero, Giordano, Migliore e Diliberto schiattano d’invidia: perché non noi? Perché Vendola in Puglia ha battuto due volte gli uomini del potente D’Alema nella battaglia per la leadership della coalizione e poi ha battuto due volte la destra. La Puglia non è l’Italia, è vero, ma è già qualcosa. E per Vendola gioca a favore anche l’aver governato con qualche successo una regione, realizzando qualcosa di buono specie per la gioventù, mentre tutti quegli altri partecipavano alla tragica e farsesca vicenda del governo Prodi. Se vogliono, finalmente, fare qualcosa di buono, i capetti dei partitini devono, senza stare a cercare accordi, riconoscimenti o altri ammennicoli, sostenere la battaglia di Vendola per ottenere le primarie prima e poi per vincerle. E infine per sconfiggere questa destra. Se Vendola non propone il comunismo, sta tenendo botta sulla Fiat, sui contratti, sul precariato, sui diritti sociali, sui diritti civili. Con questi chiari di luna per ricostruire una sinistra basta e avanza. E alla fine del giro non è escluso che anche il gruppetto di Salvi, Ferrero e Diliberto possa avere una rappresentanza parlamentare,che faccia il cane da guardia del programma e ci salvi dal leaderismo. Non loro, per carità, che hanno fatto più danni della grandine!
Nessun commento:
Posta un commento