La moneta di Newcastle, ritratto forse realistico e poco riguardoso di Antonio e Cleopatra, era nota, ma chi ha potuto vederla l'ha immediatamente rimossa. Cleopatra con quel naso da pugile, il mento aguzzo, le labbra sottili, come una istitutrice sadica? Non sia mai. Cleopatra è un patrimonio dell'umanità, così come nessuno ci potrà mai togliere il piacere di immaginarci come vogliamo la Natascia di Guerra e pace, Madame Bovary o Giovanna d'Arco. La Cleopatra saldamente insediata nell'immaginario collettivo non ha soltanto le fattezze di Liz Taylor, è figlia di tanti pittori orientalisti dell'Ottocento di gusto un po' corrivo, bravi illustratori più che pittori veri, che si sono scapricciati a raffigurarla seminuda fra ricchi tappeti, alle prese con l'aspide fatale in una stretta quasi languida, sicuramente ambigua. Se la deve essere sognata anche Flaubert, che di kitsch mediorientale se ne intendeva. Tra i pochi dati certi è che fosse nera di capelli e scura di pelle; alcuni testimoni parlano, a smentire la moneta, di una bocca grande e ben modellata. Sappiamo che amava cospargersi di essenze di rose, e uscire per Alessandria abbigliata degli strumenti del potere, il bastone pastorale, il flagello, l'Ureo. Di sicuro piccola, snella, flessuosa. Per raggiungere Cesare assediato ricorse a un espediente degno di un film di Indiana Jones: si fece avvolgere in un tappeto e passò i controlli sulle spalle di un portatore nubiano, come un qualsiasi involto di merce pregiata. E si srotolò di fronte a Cesare come una contorsionista, fra lo stupore generale. Può un uomo, e perfino un politico famoso per il suo cinismo, restare insensibile davanti a un simile coup-de-théatre? Figlia di un re debole e patetico con la mania della musica che si faceva chiamare «il Flautista», aveva un coraggio spericolato. Giocava forte, ma dopo aver calcolato accuratamente le possibili mosse. Dante l'ha liquidata come «lussuriosa». Ma la vera lussuria di Cleopatra era il potere. Lo aveva voluto con durezza, prima sbarazzandosi a diciott'anni di un fratello che le sbarrava la strada (gli assassinii intra-famigliari erano una specialità dei Tolomei), poi puntando risolutamente su Pompeo. Mossa sbagliata, forse dovuta all'ancor giovane età', ma ne uscì brillantemente seducendo nientemeno che il vincitore, Cesare, assai poco ben disposto verso di lei. Era con lui a Roma alle Idi di marzo, quando i congiurati di Bruto lo trafissero. Ripiegò su un altro competitor, Marco Antonio, sempre con la stessa ambizione: allargare il suo impero, regnare sul Mediterraneo, addirittura inglobare Roma. Fu soltanto Ottaviano Augusto a sconfiggerla per mare. Come Napoleone a Waterloo, arrivò a un soffio dalla vittoria. Molto più lucida e politica del tronfio Antonio, celebre per feste e baldorie, nani e ballerine, che si credeva un novello Dioniso. Brutta? Tanto maggiore il merito di questa donna di progetti ambiziosi e vasti disegni, vera statista, che tutto era meno che una banale seduttrice. Aveva fatto ottimi studi con i migliori filosofi, scienziati e letterati dell'epoca nel Mouseion, l'istituto di studi avanzati, Princeton o Mit ellenistico che noi ancora aspettiamo e che con strabiliante lungimiranza i Tolomei avevano messo in piedi, a fianco della celeberrima biblioteca ricca di 700 mila rotoli. Capitale multiculturale che riusciva a far convivere genti e linguaggi diversi, Alessandria era la New York dell'epoca, e Cleopatra la sua star. Conosceva bene l'attico ateniese e il latino, poteva intrattenersi senza difficoltà con Etiopi, Trogloditi, Ebrei, Arabi, Siri e Parti, contrariamente ai suoi predecessori, che avevano dimenticato il greco e non parlavano nemmeno l'egizio. La sincera stima che possiamo nutrire per lei può fare a meno perfino delle discutibili verità dell'iconografia.
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