Nell’arte culinaria è come nell’arte poetica: i capolavori hanno generalmente un autore che è quasi sempre un “artista”, uno cioè che pratica con consapevolezza il mestiere conoscendone tradizioni e tecniche. Accade che un poeta lasci due o tre varianti di un proprio testo, cosa che fa la gioia dei filologi che hanno anche loro un mestiere da praticare o da difendere. E accade anche per i “piatti d’autore” che costui ne tramandi due o più ricette, con qualche differenza, anche perché nel suo mestiere conta molto la “performance” ed egli è spesso non solo l’ideatore ma l’esecutore dell’opera sua in ambienti e climi differenti da quelli che ne favorirono la genesi.
Nella cucina popolare non è così: le varianti non sono due, tre, cinque, ma un’infinità, non una particolarità ma la regola. Vale, adattata, la definizione che Gramsci diede della poesia popolare: “popolare” in cucina non è ciò che il popolo produce e mangia, ma ciò che sceglie di far proprio, di adottare. Ma, mentre adotta, il popolo trasforma (il testo, il piatto), secondo il luogo, secondo il tempo, secondo l’ambiente e i suoi specifici gusti. Della canzone della “Donna lombarda”, della “Passione” umbra, della “Baronessa (o Principessa) di Carini", sono decine le varianti registrate e assai di più, forse, quelle non registrate.
Allo stesso modo, se cercate, troverete decine e decine di varianti del “risotto milanese”, del “ragù napoletano”, della siciliana “pasta con le sarde”, con differenze relative ora agli ingredienti, ora alle dosi, ora alle modalità di preparazione. Se poi si va nei (pochi) luoghi ove la tradizione culinaria popolare è difesa con le unghie e coi denti si scoprirà che c’è quasi una variante per ogni famiglia ed ognuna è convinta d’essere depositaria della “vera” ricetta tradizionale.
In un vecchio numero del “Gambero Rosso” (anno I, n. 6, luglio 1992) (era appena uscito dal ruolo di “supplemento gastronomico” de “il manifesto” e camminava, già da sei mesi, con le sue gambe) trovo una pagina, la 39, di ricette francesi, un “menù della festa”. Il sagace redattore racconta che delle tre ricette una è una “d’autore”: le “pesche Melba”, “create alla fine dell’Ottocento dal grande Auguste Escoffier in onore della soprano australiana Nelly Melba, una delle più celebri cantanti del suo tempo”, mentre le prime due sono espressione autentica della cucina popolare. Infatti alla ricetta della provenzale bouillabaisse (una zuppa di pesce che ricorda il caciucco livornese ma assai più ricca) è aggiunta una breve nota che accenna ad alcune delle numerose varianti. Terza ricetta del menù è la rouille, una salsa fatta apposta per ricoprire le fette di pane (“fatto asciugare in forno ma non tostato”) che accompagnano la bouillabaisse, servita in una ciotola a parte. Questa ricetta la posto qui. E’ una salsa piuttosto semplice che può usarsi con tutte le ricette di pesce, molluschi o crostacei in umido o in zuppa, specie quando tra gli ingredienti ci sia il pomodoro. (S.L.L.)
Nella cucina popolare non è così: le varianti non sono due, tre, cinque, ma un’infinità, non una particolarità ma la regola. Vale, adattata, la definizione che Gramsci diede della poesia popolare: “popolare” in cucina non è ciò che il popolo produce e mangia, ma ciò che sceglie di far proprio, di adottare. Ma, mentre adotta, il popolo trasforma (il testo, il piatto), secondo il luogo, secondo il tempo, secondo l’ambiente e i suoi specifici gusti. Della canzone della “Donna lombarda”, della “Passione” umbra, della “Baronessa (o Principessa) di Carini", sono decine le varianti registrate e assai di più, forse, quelle non registrate.
Allo stesso modo, se cercate, troverete decine e decine di varianti del “risotto milanese”, del “ragù napoletano”, della siciliana “pasta con le sarde”, con differenze relative ora agli ingredienti, ora alle dosi, ora alle modalità di preparazione. Se poi si va nei (pochi) luoghi ove la tradizione culinaria popolare è difesa con le unghie e coi denti si scoprirà che c’è quasi una variante per ogni famiglia ed ognuna è convinta d’essere depositaria della “vera” ricetta tradizionale.
In un vecchio numero del “Gambero Rosso” (anno I, n. 6, luglio 1992) (era appena uscito dal ruolo di “supplemento gastronomico” de “il manifesto” e camminava, già da sei mesi, con le sue gambe) trovo una pagina, la 39, di ricette francesi, un “menù della festa”. Il sagace redattore racconta che delle tre ricette una è una “d’autore”: le “pesche Melba”, “create alla fine dell’Ottocento dal grande Auguste Escoffier in onore della soprano australiana Nelly Melba, una delle più celebri cantanti del suo tempo”, mentre le prime due sono espressione autentica della cucina popolare. Infatti alla ricetta della provenzale bouillabaisse (una zuppa di pesce che ricorda il caciucco livornese ma assai più ricca) è aggiunta una breve nota che accenna ad alcune delle numerose varianti. Terza ricetta del menù è la rouille, una salsa fatta apposta per ricoprire le fette di pane (“fatto asciugare in forno ma non tostato”) che accompagnano la bouillabaisse, servita in una ciotola a parte. Questa ricetta la posto qui. E’ una salsa piuttosto semplice che può usarsi con tutte le ricette di pesce, molluschi o crostacei in umido o in zuppa, specie quando tra gli ingredienti ci sia il pomodoro. (S.L.L.)
Ingredienti
3 spicchi d’aglio; un peperoncino rosso secco o fresco; un tuorlo d’uovo; 100 gr. d’olio extravergine d’oliva.
Preparazione
Pelate gli spicchi d’aglio (se hanno il germoglio interno toglietelo) e schiacciateli in un mortaio insieme al peperoncino privato dei semi. Pestate il tutto fino a ottenere una crema quindi unite il tuorlo d’uovo e mescolate bene con un cucchiaio di legno. Versando l’olio goccia a goccia e continuando a mescolare, montate la salsa come se fosse una comune maionese.
Come si può facilmente dedurre, questa salsa ha un sapore molto deciso che, fra l’altro, può non piacere a tutti e va quindi usata a piccole dosi, spalmandola leggermente sul pane.
Postilla
Per la piccola quantità qui indicata (basta per 3 persone) è obbligatorio usare il mortaio, ma quando le persone siano 8, 10 o 12, l’uso del frullatore non peggiora troppo il risultato a condizione che l’olio sia incorporato a poco a poco. (S.L.L.)
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