Stamani, 2 ottobre, si è aperto, al campeggio al campeggio Capolonga di Bibbione, in provincia di Venezia, quello che viene definito il più grande evento nazionale di softair. E’ intitolato “Operazione Embassy” ed è in sostanza un complicato gioco di guerra che dura un paio di giorni. Si simuleranno con dovizia di mezzi uno sbarco e una resistenza, il tutto contornato da combattimenti con aerei telecomandati. Vi partecipano, pagando una cifra, gruppi addestrati e attrezzati provenienti da tutta Italia, smaniosi di prodursi in spettacolari blitz e controblitz. Tra di essi un gruppo di Spoleto che si chiama “Stars”.
A proposito degli “Stars” il 27 agosto scorso il corrierino dell’Umbria pubblicava, nella cronaca di Spoleto, quella che in gergo giornalistico si chiama una “marchetta”, un articolo che ne esalta i successi e ne pubblicizza la campagna di iscrizioni. Così vi si può leggere: “Tutti gli iscritti alle associazioni di Softair hanno un'assicurazione obbligatoria e tutte le partite si svolgono in luoghi posti in sicurezza e segnalati alle forze dell'ordine. Il softair, nonostante l'apparenza bellicosa, è innocuo, non violento e basato sul corretto confronto sportivo. Inoltre è uno sport contro le stragi del sabato sera: nel softair infatti si gioca quasi esclusivamente di domenica mattina e ciò impedisce a molti giovani che lo praticano di fare tardi la notte del sabato sera. Le iscrizioni sono aperte a uomini e donne dai 16 anni in su, che non abbiano pendenze penali”. Non basta: l’articolo spiega che “verrà lanciata sul territorio spoletino un'iniziativa che permetterà alle strutture turistiche e agriturismi locali di usufruire dell'attrezzatura e dell'organizzazione di gioco dell'associazione, per creare pacchetti turistici comprensivi di appassionanti gare di Softair”.
Lo dico subito: ai giochi di guerra non sono affatto contrario. Lessi, non so più quanti anni fa, nel Diario minimo di Umberto Eco la Lettera a mio figlio. E mi convinse. In essa lo scrittore, che al tempo aveva un figlio assai piccolo, gli giurava che mai gli avrebbe regalato trenini o teatri dei burattini, ma fucili, mitra, carri armati in miniatura, soldatini di ferro ed altri consimili bellicosi giocattoli. Eco racconta che lui, studioso di filosofia medievale, marciatore capitiniano, aveva trascorso l’infanzia e la prima adolescenza immerso nel gioco della guerra: a casa nei dì invernali a simulare battaglie di soldatini, col bel tempo per le strade a far la guerra in gruppi di ragazzini che per gioco si sparavano e duellavano o che, organizzati in bande, si prendevano perfino a sassate.
Da questa orgia di ludiche guerre, scriveva Eco, non senza orgoglio, era venuto su “un uomo che si è macchiato di tante iniquità ma che è sempre stato puro di quel tristo delitto che consiste nell'amare le armi e nel credere alla santità e all'efficienza del valore guerriero. Un uomo che comprende il valore degli eserciti solo quando li vede accorrere tra la melma del Vajont a ritrovare una serena e nobile vocazione civile”. E’ un racconto, questo di Eco, in cui non riconosco luoghi e paesaggi ma riconosco me stesso bambino e di cui condivido la morale: giocare alla guerra in tenera età educa al pacifismo. E forse non si sbaglia lo scrittore quando s’immagina il piccolo Eichmann alle prese con il meccano e con le sue complicate istruzioni.
Non so dire se i solitari giochi di guerra praticati dai bambini al computer o alla “consolle” abbiano la stessa esorcistica efficacia: forse scaricano, almeno in parte, il fardello di aggressività che ciascuno (e ciascuna?) porta seco dalla nascita, ma più che pacificare temo che instupidiscano.
Certo è che con la guerra a un certo punto bisogna smettere: non si diventa grandi se si continua a tenere la mitraglietta in mano e il succhiotto in bocca. Per i grandi sono adatti altri giochi: l’amore, non la guerra. E’ cosa che ben fa intendere Umberto Eco nella sua lettera (“si stava diventando adulti e si andava lungo le rive del Belbo per sorprendere i diciottenni che facevano all'amore, salvo i momenti delle primi crisi mistiche”).
Se invece, come pare succeda a Spoleto, questo rifiuto di crescere, questa regressione si diffonde, c’è da preoccuparsi. E’ da questi branchi di ragazzoni immaturi che vengono fuori i militari militaristi, ed è lì che si reclutano i contractors, i mercenari delle guerre imperiali o locali, che non sono più un gioco ed ammazzano sul serio le persone. A decine, a centinaia, a migliaia.
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