Un orribile segno del clima culturale del terzo millennio è costituito dalla scomparsa di alcune prestigiose riviste di pedagogia, politica scolastica e didattica. Una delle più prestigiose fu “Scuola e Città”, fondata nel 1950 da Ernesto Codignola e da un gruppo di studiosi tra cui figuravano Guido alogero, Roger Cousinet, Carleton Washburne, Lamberto Borghi, Aldo Capitini, Francesco De Bartolomeis. L’orientamento della rivista, laico progressista e democratico, la poneva in conflitto con l’egemonia clericale nella scuola pubblica italiana (per 40 anni nell’Italia repubblicana i Ministri della P.I. furono esclusivamente democristiani e graditi al Vaticano); e la poneva in competizione con “Riforma della Scuola”, la rivista pedagogica dei comunisti. Il mensile divenne trimestrale nel 2001. Nel 2004 la rivista divenne on-line, ma oggi il sito è introvabile e non sapremmo dire quando smisero di alimentarlo. Il numero da cui abbiamo attinto il breve articolo non firmato che segue (dovrebbe essere del direttore del tempo, Borghi, e fa parte della sezione Appunti e spunti) è quello del marzo 1968, subito dopo l’esplosione del movimento studentesco universitario, ed al movimento sono dedicati i due articoli di fondo, del direttore e di Tristano Codignola. Il brano illumina sulla qualità dell’amministrazione scolastica in quell’anno glorioso e sugli ostacoli che il movimento di studenti (e poi di insegnanti) dovette affrontare per modificare il gretto conservatorismo ottuso e moralista che la caratterizzava in periferia e al centro. (S.L.L.)
Non passa mai giorno senza una buona notizia sullo spirito di libertà che anima alcuni, almeno, degli educatori italiani. L’ultima viene da L’Aquila: una studentessa del locale liceo classico è stata sospesa dalle lezioni perché il fidanzato l’accompagnava a scuola; prima per tre giorni, poi, sempre per lo spirito di democrazia che anima il preside di quell’istituto, per altri tre, perché il padre della ragazza aveva osato protestare. Questo almeno riferiscono i giornali, e se così sono andate le cose, questo è mostruoso. Ma dove è scritto che la scuola deve occuparsi dei fatti privati degli studenti, ma dove è detto che una passeggiata col fidanzato è peccaminosa? Ma l’età del liceo, e poi della università, non è appunto quella in cui si cerca di aprirsi alle bellezze della vita, agli affetti, all’amore? E fra gli adolescenti il problema più profondo non è quello di rompere la solitudine, di trovare nuovi affetti, di costruirsi anche in questo campo una nuova coscienza, una nuova vita? E la scuola non deve aiutare i giovani nel conquistarsi un equilibrio affettivo e sessuale, nel crescere e farsi uomini, non deve comprenderli nella costruzione di tutta la loro personalità? Questo almeno abbiamo sempre creduto, questo credono i migliori educatori, e ce ne sono. Ma purtroppo l’animo degli inquisitori è presente in altri e ciò spinge i giovani alle rivolte contro l’autoritarismo delle strutture educative. Ma, infine, purtroppo, vorremmo aggiungere, la colpa non è solo di questo o quel preside, di questo o quel professore: la responsabilità di questi eccessi antieducativi è anche delle autorità superiori, del Ministereo della Pubblica Istruzione. Perché il Ministro non interviene contro questi eccessi, perché non si schiera dalla parte di coloro che vogliono una scuola libera, democratica, non autoritaria, perché non punisce coloro che non sono degni del nome di educatori?
E’ una domanda retorica. Le autorità centrali del Ministero sembrano sempre pronte a sconsigliare le innovazioni, a punire i democratici, a esaltare gli autoritari, col risultato che la nostra scuola finisce per restare il settore più arretrato culturalmente e ideologicamente della vita nazionale.
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