25.12.10

Anniversari. Grimod de La Reynière, un buongustaio tra Ancient Règime e Restaurazione.

Alexandre-Balthazar-Laurent Grimod de La Reynière morì nella notte di Natale del 1837.
Nella storia della gastronomia e della letteratura gastronomica ha di sicuro un posto particolare. Era nato il 20 novembre 1758 da nobile famiglia legata alla monarchia. Laureato in diritto, ebbe fin da giovane una intensa passione per l’arte culinaria cui diede un contributo istituendo i cosiddetti “pranzi del mercoledì” che, iniziati nel 1782, proseguirono fino al 1810. Il primo febbraio del 1783 Grimod diede vita a un sontuoso incontro conviviale che passò alla storia come il fameux souper, la celebre cena che per il suo memorabile successo dovette essere ripetuta nel 1786. Al 1784 risalgono le sue “colazioni filosofiche”. Scrisse commedie, critiche teatrali e saggi satirici, ma anche come scrittore va annoverato tra i fondatori di istituzioni. Nel 1803 pubblicò, infatti, il primo Almanach des Goumands (Almanacco dei Buongustai, o dei Ghiottoni – se si preferisce): con l’eccezione del 1809 e del 1811 ne produsse uno all’anno fino al 1812.
Folco Fortinari curò nel 1981 per gli editori Sella e Riva l’Almanacco dei Buongustai del 1803 (seguito dal Manuale dell’Anfitrione del 1808), tradotto da Laura Gras, da cui ho ripreso questa brillante rappresentazione del Cenone parigino. Portinari, nel suo ritratto del grande gastronomo, cita un azzeccato giudizio critico di Jean-Claude Bonnet : “Tutta la scrittura di Grimod va contro la ricerca di un metalinguaggio scientifico. All’ordine catalogatorio egli oppone il lavoro della metafora e delle corrispondenze. Grimod non scrive un dizionario di cucina né un sistema di sapori”. Aggiunge Portinari: “E lui stesso precisa, nel terzo Almanacco, che la sua attenzione va alla ‘cuisin où presque tout se rattache aux caprices du gout et à l’imagination de l’artiste, et qui offre une foule de nuances fugitives’ (alla cucina ove quasi tutto si collega ai capricci del gusto e all’immaginazione dell’artista, e che offre una folla di fuggenti sfumature – traduzione mia). E’ insomma quella che egli chiama l’éloquence gourmande”. (S.L.L.)
Parigi, 1803. La notte di Natale tra Messa e Cenone.
Lasciamo agli eruditi la cura di determinare l’epoca precisa nel quale l’uso dei Cenoni fu introdotto fra i cristiani; noi chiudiamo l’argomento per osservare che si tratta di un pasto, che ha ciò di particolare e anche di unico, che non è una colazione, né una cena, né un pasto leggero, né uno spuntino di mezzanotte: è un Veglione, questa parola dice tutto; così non lo si celebra che una volta all’anno, la notte di Natale, vale a dire il 25 Dicembre tra le 2 e le 3 del mattino.
Mentre i giacobini e il successiva direttorio regnarono in Francia, come la messa di mezzanotte fu proibita così si trovò egualmente vietato il Veglione, con gran dispiacere di rosticceri e salumieri, i quali non erano stati gli ultimi a rallegrarsi di quella rivoluzione del 18 brumaio dell’anno VIII che, permettendo alla religione di rinascere, ha, per necessaria conseguenza, restituito tutt’insieme il patrimonio dei costumi, dell’ordine e quello dei Veglioni.
Questo pasto che meriterebbe la qualifica di ristoratore piuttosto che il nome di Veglione (perché ci si è alzati da molto e generalmente non si ha voglia di dormire quando inizia), fu immaginato per ristabilire le forze dei fedeli stanchi per una seduta di quattro ore in chiesa, e per rinfrescare le gole affaticate a forza di cantare le lodi del Signore. Infatti la messa di mezzanotte è preceduta da tre uffici divini di mattutino, dal Te Deum, ed è seguita dalle laudi, composte in una successione di tredici salmi e tre cantici, senza contare le antifone, gli inni, i versetti, e le risposte cantate a piena voce, alla fine dei quali non si può fare a meno di benedire l’inventore del Veglione, poiché nulla procura tanto appetito come un prolungato esercizio dei polmoni santificato dalla preghiera.
Una pollastra al riso, cui è permesso in questo momento d’essere un cappone, è il piatto di mezzo d’obbligo di questo pasto notturno, e tiene luogo della minestra, che non compare mai. Quattro antipasti, composti di salsicce bollenti, cotechini grassottelli, sanguinacci bianchi alla crema, e sanguinacci neri ben sgrassati gli servono da complici. Il tutto è nobilitato da una lingua allo scarlatto, oppure ripiena come ha da essere alla fine di dicembre, la quale accompagni simmetricamente una dozzina di piedi di porco, farciti ai tartufi e ai pistacchi e un piatto di cotolette di carne suina. Ai quattro lati della tavola vi sono due piatti di pasticcini, quali torte e paste, e due portate dolci, quali crema e flan di mele all’inglese. Nove piatti o più di dessert chiudono il Veglione, e i fedeli in tal modo ristorati si ritirano per andare devotamente a cantare la messa dell’aurora, preceduta dalla Prima e seguita dalla Terza. Quindi si ritorna a casa per fare un sonnellino, e poi assistere, vuoi a digiuno vuoi dopo una leggera colazione, alla messa del giorno accompagnata da una predica e seguita dalla festa. E’ così che i devoti Buongustai impiegano, a Parigi, la mattinata del giorno di Natale.

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