28.12.10

Genova 2001. Il pesto escluso dal G8 (di John Dickie)

Nel luglio del 2001, Genova ospitò il vertice del G8. L’arrivo di George Bush,Tony Blair e degli altri leader delle nazioni economicamente più potenti del pianeta era un’opportunità, per Genova, di mettersi in mostra di fronte al resto del mondo: e mettersi in mostra, ovviamente, voleva dire anche far sfoggio della sua cucina: e mettersi in mostra, ovviamente, voleva dire far sfoggio della sua cucina. I sedici chef liguri insigniti di almeno una stella dalla Guida Michelin furono divisi in gruppi di quattro per preparare due pranzi e due cene per le personalità che partecipavano al vertice. Un mese prima del previsto inizio della conferenza, i cuochi sottoposero le loro proposte di menù al ministro degli Esteri italiano. Due piatti furono depennati: il primo era il coniglio, a quanto sembra perché si riteneva che i britannici e i nordamericani considerassero questo animale alla stregua dei cani e dei gatti, solo come animale da compagnia. Il secondo piatto a incorrere nei rigori dei consulenti della Farnesina, incredibilmente, fu proprio il piatto per cui Genova va, giustamente, più orgogliosa: il pesto alla genovese fu rimpiazzato nel menù da una “salsa al basilico”. E qual era la differenza fondamentale tra questa salsa e la ricetta ortodossa del pesto? Semplicemente l’assenza dell’aglio.
Molti lessero questa rimozione dell’aglio dal pesto come una facile metafora della disinfestazione a cui veniva sottoposto il capoluogo ligure in vista del vertice: era stato istituito un rigoroso divieto di accesso ad alcune parti della città (la famosa “zona rossa”), gli abitanti erano stati invitati a rimuovere i panni messi ad asciugare sugli stenditoi tesi da una finestra all’altra, negli stretti vicoli genovesi. Non è chiarissimo perché fosse stato impartito l’ordine di sostituire il pesto con una comune “salsa al basilico”: forse l’odore pungente che lascia l’aglio avrebbe scoraggiato le trattative ravvicinate tra i delegati, o forse erano i giapponesi che trovavano particolarmente sgradevole il gusto di questo vegetale. Nel clima politico del momento, un’ipotesi sembrò mettere d’accordo tutti: era stato Silvio Berlusconi a mettere il veto al simbolo della cucina genovese. Il magnate dei media, all’epoca presidente del Consiglio, è notoriamente insofferente verso aglio e cipolla. I manifestanti no global, orgogliosi delle tradizioni locali, non ebbero alcun dubbio e si armarono di teste d’aglio da gettare contro Berlusconi durante il summit.

da John Dickie, Con gusto. Storia degli italiani a tavola, Laterza, 2009

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