30.12.10

I ragazzi della via Pal e Peter Pan, due classici sacri e sovversivi (Francesca Lazzarato)

Riprendo (riducendolo) un articolo di Francesca Lazzarato, apparso su "La talpa libri" del "manifesto" il 3 luglio 1992, come recensione alla pubblicazione nella collana Universale Feltrinelli di due capolavori non solo per ragazzi, I ragazzi della via Pal e Peter Pan. Oltre a una ipotesi di lettura penetrante e convincente delle opere di Molnar e Barrie contiene indicazioni di metodo da estendere ad altre opere. (S.L.L.)
“Esiste, nel nostro universo, una strana tribù semiselvaggia, antichissima e diffusa in tutto il mondo, scarsamente studiata, fino a tempi recenti dagli antropologi e dagli storici. Tutti noi ne abbiamo fatto parte, almeno per un certo periodo: ne conosciamo i costumi, le pratiche, il folklore e i testi sacri. Sto parlando, naturalmente, dei bambini”.
Così in Don’t Tell the Grown Up (Little, Brown, 1990), Alison Lurie introduce i suoi saggi sulla letteratura per bambini e ragazzi, dedicati per l’appunto ad alcuni tra i testi sacri che vengono proposti all’infanzia da due secoli a questa parte. Severamente selezionati dall’approvazione adulta, ma anche dal tempo e dal gradimento infantile, essi si dividono, dice la Lurie, in due grandi categorie: quelli che, secondo i grandi, sono destinati a trasmettere i valori dominanti della società e ad insegnare una quantità di utili nozioni, e quelli che, più o meno velatamente, incoraggiano a sognare, a disobbedire, a far domande, e mettono in questione o deridono le pretese o le istituzioni degli adulti, scuola e famiglia comprese. E soprattutto una parte della letteratura dell’infanzia possiede caratteristiche decisamente sovversive, perché propone, accanto a rivolte nitidamente disegnate, punti di vista originali e divergenti, e valori molto differenti da quelli del mondo adulto.
Pensiamo ai Ragazzi della via Pal. Nel romanzo di Ferenc Molnar – che troppo spesso è stato letto con superficialità solo in funzione della retorica marziale e virile legata agli episodi guerreschi – gli adulti non sono portatori di alcuna istanza etica, ma solo di un rassegnato egoismo. Nessuno di loro ha qualcosa da insegnare ai ragazzi, la vita che conducono non si prefigge altro scopo che non sia la conservazione dell’esistente: dell’esistente in quanto esiste, non in quanto possiede un significato. Invece Acs, Boka, Nemecsek sono in cerca di un senso, tentano di costruire un mondo possibile, rivendicano il diritto a seguire le proprie regole del gioco e a ritrovarsi, tra pari e lontano dallo sguardo degli adulti, in quel campo che è, con tutta evidenza, un luogo dell’anima e della speranza. Una speranza alla quale dovranno infine rinunciare, ma che avrà loro consentito di misurarsi con se stessi e di avvicinarsi il più possibile ad una sia pur effimera libertà individuale.
Per chi ha avuto, durante l’infanzia e l’adolescenza, una sua personale via Pal, l’ingresso in una nuova età può anche non significare una sconfitta, o comportare una definitiva denuncia.
Perché crescere bisogna, non c’è dubbio. Lo testimonia fino in fondo quel Peter Pan che, rappresentato come testo teatrale nel 1904, divenne nel 1911 testo narrativo. Il tenace rifiuto di crescere del ragazzo volante, infatti, ha in sé qualcosa di disperato, soprattutto se lo si legge in parallelo con quello del protagonista di due romanzi per adulti di James Barrie, Sentimental Tommy (1896) e Tommy e Grizel (1900), nonché della sua ultima e ingiustamente dimenticata commedia, Mary Rose (1920), che l’autore scozzese riuscì a completare con immensa fatica, per via di un misterioso crampo che gli aveva anchilosato la mano (quasi una sinistra eco della menomazione di Capitan Uncino). Anche il giovane Tommy, infatti, è un eterno fanciullo: in lui però il rifiuto di crescere diventa impossibilità, poiché “era così felice d’essere un bambino, che col passare degli anni non fu capace di diventare uomo”. Quanto a Mary Rose, una ragazza che fugge con terrore l’età adulta, il magico appagamento del suo desiderio di restare sempre fanciulla la muterà in uno spettro senza età vagante in un mondo sconosciuto, dove i suoi genitori sono morti e i compagni un tempo amati sono ormai giovanotti detestabili e bizzarri.
Di questa ambiguità, di questa doppiezza, troviamo tracce continue e singolari: se da una parte Peter Pan è esempio del sentimentalismo e dell’estatica necrofilia tipici dell’età vittoriana, che vedeva nella morte prematura il suggello alla perfezione del tanto vagheggiato bambino-angelo, dall’altra il romanzo di Barrie è una continua negazione dell’innocenza stessa, il rovesciamento e la parodia di tutti gli stereotipi allora vigenti. Va ricordata la reale demonicità del fanciullo volante, che oltre a chiamarsi Pan attraversa i giardini di Kensington a cavallo di una capra, animale diabolico e dionisiaco. E che dire della crudele satira a cui Barrie sottopone la famiglia vittoriana e la sua ipocrisia, proprio lui che era sempre pronto a sciogliersi in lacrime davanti alle mamme e ai loro piccini?
Peter Pan è insomma l’inquietante storia di chi vuole avere tutto: avere lo stesso potere degli adulti ma non crescere mai, vivere avventure eccezionali ma non farsi mai male, fuggire della madre ma averla sempre a disposizione. Ed è proprio questo a rendere la commedia e il romanzo così attuali, quasi una straordinaria metafora sull’essere, oggi, adolescenti e giovani.

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