30.12.10

Settembre - dicembre 1926. Il viaggio in Russia di Joseph Roth.

Joseph Roth (Brody 1894 – Parigi 1939) è soprattutto noto come cantore della “finis Austriae” e autore dei romanzi che rappresentano l’epopea di quella decadenza: La Marcia di Radetzky e La cripta dei Cappuccini. Ma è il complesso della sua produzione (ricordiamo anche Giobbe, La tela di ragno, Fuga senza fine), al di là della peculiare collocazione ideologica e sentimentale, che lo pone tra i grandi narratori del Novecento.
Egli ebbe al suo attivo negli anni Venti una ricca esperienza giornalistica, soprattutto nel campo dei reportage. Lavorò alcuni anni per la “Frankfurter Zeitung”, nelle cui pagine apparve il resoconto della sua visita nella Russia sovietica tra il settembre e il dicembre 1926. Tradotto e pubblicato in volumetto per Adelphi nel 1981 il Viaggio in Russia è certamente un testo acuto e istruttivo. Roth aveva simpatizzato apertamente per la Rivoluzione bolscevica e raccontava che, dopo aver disertato dall’esercito austriaco sul fronte orientale, si era addirittura unito all’Armata Rossa. In Russia Roth continua a manifestare, a sprazzi, l’iniziale simpatia per la Rivoluzione, specie quando nelle campagne osserva il “nobile spettacolo dei servi che stanno diventando uomini”, ma ne verifica il tendenziale ma palese “imborghesimento” e soffre per l’ondata burocratica che cresce, portatrice di un gretto e greve moralismo piccolo-borghese. Il piccolo assaggio che qui propongo a me pare molto valido anche negli esiti espressivi, il che non guasta per niente. (S.L.L.)

Le strade russe
A prima vista le strade delle città russe appaiono vivaci e variopinte. Molte donne portano, ben teso sui capelli, un fazzoletto rosso con un grosso nodo alla nuca. E’ l’unica civetteria, pratica del resto, della rivoluzione. Il fazzoletto rosso ringiovanisce le donne anziane, alle giovani dà un impeto erotico un po’ spavaldo. Da alcune case sventolano bandiere rosse. Sulle porte e sulle insegne c’è la stella rossa dei Soviet. I cartelli davanti ai cinematografi hanno colori vivacissimi, di paesana ingenuità. uomini e donne sgranano gli occhi davanti alle vetrine, amano bighellonare serpeggiando, c’è per le strade una gran ricchezza di movimenti.
In un contrasto voluto, probabilmente pedagogico, con i pedoni, i mezzi pubblici danno una dimostrazione di ritmo, di velocità, di “America”. Ci sono buoni autobus inglesi di costruzione modernissima, più leggeri e meglio rifiniti di quelli che si vedono a Berlino e a Parigi. Sfrecciano rapidi, scivolando – sul selciato più spaventoso del mondo, il selciato russo, che è come una spiaggia sassosa schiacciata dal rullo compressore. I tram mandano un suono molto squillante, come sveglie. Le automobili lanciano un suono stridulo, come il latrato di giovani cani. I cavalli delle vetture di piazza fanno schioccare allegramente gli zoccoli. I venditori ambulanti vantano le loro merci gridando e cantando per incoraggiare se stessi più che il compratore. Sopra i tetti risplendono le cupole fiabesche delle chiese russe, fioriscono i bulbi dorati, frutti di un cristianesimo esotico, bizzarro, multicolore.
Eppure la strada russa io la senti grigia. Le masse da cui è popolata sono grigie. E’ un grigio che divora il rosso dei fazzoletti, delle bandiere, dei distintivi, e il riflesso dorato sui tetti delle chiese. C’è molta povera gente vestita a casaccio. Da questa gente emana una grande serietà, opprimente nella sua piattezza, patetica nella sua miseria. La strada russa ricorda lo scenario di un dramma sociale . E’ piena di un odore di carbone, di cuoio, di cibo, di lavoro e di uomini. E’ l’atmosfera delle assemblee popolari (…).

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