Qualcuno, dopo la morte di Mario Monicelli, ha ricordato un altro suicidio, di alcuni anni fa, del 5 agosto 2002: quello di Franco Lucentini che, di fronte alla prospettiva di un dolore insopportabile e della progressiva perdita di autonomia, si gettò nella tromba delle scale. Mi sono anch'io ricordato delle parole di nobilissima ironia che usò per il discorso funebre in onore del suo grande amico e partner di "scritture" Carlo Fruttero, e le ho recuperate da "La Stampa" del 9 agosto di quell'anno: la loro lettura (o rilettura) mi pare assolutamente raccomandabile anche come antidoto contro il veleno che i clericali vanno spargendo in giro. (S.L.L.)
Fruttero e Lucentini |
Franco era un bricoleur perché era capace di escogitare mille soluzioni in situazioni anche difficilissime. Lui trovava sempre un'idea, sapeva sempre mettere un chiodo in un certo modo. Si era fatto un apri-ostriche. Ogni tanto ci vedevamo, in inverno, a Natale, in Francia: gustavamo le ostriche, naturalmente lui non aveva un apri-ostriche, ma nel suo atelier pieno di attrezzi si fabbricò un congegno per aprire le ostriche. Non era semplice: tiravi da una parte, giravi dall'altra, c'era un pedale, alla fine comunque l'ostrica si apriva, in un modo o nell'altro. Gli piaceva fare con quel che c'era. Anche da scrittore: la vita ti mette a disposizione un certo numero di cose e tu con quelle, con quelle parole, quei versi, quei precedenti - quegli Omero, quei Dante, quei Petrarca, quegli Shakespeare -, con quello ti arrangi, non ti è dato di fare di più. Da bricoleur fai con quello che trovi: gli aggettivi sono sempre gli stessi, li rigiri, ci metti davanti un'altra parola. Franco Lucentini ha sempre fatto così. E' stato bricoleur anche di fronte al dolore terribile che gli dava la malattia, soprattutto di fronte all'umiliazione di essere ormai non più autosufficiente, di aver bisogno di tutti, perfino per le necessità quotidiane: per mangiare, per nutrirsi, per portarsi lo yogurt in bocca, per qualsiasi altra cosa. Farsi la barba era diventato uno sforzo immane. D'altra parte lui odiava il rasoio elettrico, perché aveva le sue fissazioni. Tutti sappiamo, noi suoi amici - e siamo tantissimi -, che era un grande fissato, un rompiscatole. Per esempio lui aveva in mente che il Castello di Fontainebleau non valeva niente e ci impediva di andarlo a vedere. Quando noi decidevamo di andare lo stesso a visitarlo, lasciandolo a casa, allora lui, tutto digrignante: “Cosa andate a vedere il Castello di Fontainebleau!”. Era fatto così. In queste e in mille altre cose che non posso raccontare. Forse le racconterò un giorno, se passa questo momento. C'era insomma una crisi: che cosa poteva fare? Quando qualcuno mi ha detto che si era ucciso in quel modo, ho pensato: come ha fatto? Quella tromba delle scale è larga come il tavolino di casa mia, ci è voluto non solo un coraggio mostruoso, da me inconcepibile, ma anche un'astuzia. Si sarà messo in che modo? Come avrà fatto? Come si sarà sporto? Deve avere pensato, escogitato tutto prima. Poi, al momento della disperazione, quando avrà visto che non c'era altra maniera per smettere di soffrire, per levarsi di torno da una vita orrenda, è riuscito a infilarsi in quella tromba assolutamente insufficiente. Perché lui aveva calcolato che sarebbe andata bene lo stesso. Ha fatto un suicidio da bricoleur, per così dire, si è arrangiato con quello che aveva a disposizione. Pillole? Non ne aveva. Buttarsi nel fiume? Gia' sarebbe stato difficile arrivarci col bastone, e poi lo avrebbero ripescato subito. I treni, lontanissimi. Ha fatto come poteva, con quello che aveva sottomano. E purtroppo ci è riuscito. Meglio così, perchè se no... Io ho passato tutta la vita di lavoro con Franco; e Franco trovava sempre un sistema, un modo, una soluzioncina di basso profilo per andare avanti, per fare una frase in più, un capitolo in più, far morire un personaggio, chiudere una finestra, mettere il miglio per gli uccelletti, delle volte mi costringeva a segare delle assicelle dicendo sempre «Eeh, che ci vuole, che sarà mai, che sarà mai». Io certo non ero lì, lunedì mattina, e poi il momento era tragico, disperato, però son sicuro che lui prima di buttarsi avrà pensato: «Ma che sarà mai 'sta morte, insomma facciamola finita. Che sarà mai». La mia è solo e del tutto una congettura. Però son sicuro che lui l'ha pensato: «Che sarà mai».
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