6 marzo 1933
Carissima Tania,
Ho ancora vivo il ricordo (ciò non sempre mi capita più in questi ultimi tempi) di un paragone che ti ho fatto nel colloquio di domenica per spiegarti ciò che avviene in me. Voglio riprenderlo per trarne alcune conclusioni pratiche che mi interessano. Ti ho detto su per giù così: - immagina un naufragio e che un certo numero di persone si rifugino in una scialuppa per salvarsi senza sapere dove, quando e dopo quali peripezie si salveranno. Prima del naufragio, com’è naturale, nessuno dei futuri naufraghi pensava di diventare…naufrago e quindi tanto meno pensava di essere condotto a commettere gli atti che dei naufraghi in certe condizioni, possono commettere, per esempio, l’atto di diventare… antropofaghi. Ognuno di costoro, se interrogato a freddo cosa avrebbe fatto nell’alternativa di morire o di diventare cannibale, avrebbe risposto, con la massima buona fede, che, data l’alternativa, avrebbe scelto certamente di morire. Avviene il naufragio, il rifugio nella scialuppa ecc. Dopo qualche giorno, essendo mancati i viveri, l’idea del cannibalismo si presenta sotto una luce diversa, finché ad un certo punto, di quelle persone date, un certo numero diviene davvero cannibale.
Ma in realtà si tratta delle stesse persone? Tra i due momenti, quello in cui l’alternativa si presentava come una pura ipotesi teorica e quello in cui l’alternativa si presenta in tutta la forza dell’immediata necessità, è avvenuto un processo di trasformazione “molecolare” per quanto rapido, nel quale le persone di prima non sono più le persone di poi e non si può dire, altro che dal punto di vista dello stato civile e della legge (che sono, d’altronde, punti di vista rispettabili e che hanno la loro importanza) che si tratti delle stesse persone. Ebbene, come ti ho detto, un simile mutamento sta avvenendo in me (cannibalismo a parte). Il più grave è che in questi casi la personalità si sdoppia: una parte osserva il processo, l’altra parte lo subisce, ma la parte osservatrice (finché questa parte esiste significa che c’è un autocontrollo e la possibilità di riprendersi) sente la precarietà della propria posizione, cioè prevede che giungerà un punto in cui la sua funzione sparirà, cioè non ci sarà più autocontrollo, ma l’intera personalità sarà inghiottita da un nuovo “individuo” con impulsi, iniziative, modi di pensare diversi da quelli precedenti.
Ebbene, io mi trovo in questa situazione. Non so cosa potrà rimanere di me dopo la fine del processo di mutazione che sento in via di sviluppo.
Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino 1947, pp. 266-7.
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Postilla critica
Questa lettera, stupenda per il lucido pessimismo che la anima, di Antonio Gramsci alla cognata, espone attraverso la similitudine del naufrago la teoria della “trasformazione molecolare”. Mi pare che aiuti a comprendere quanto accade in Italia, ove il naufragio della sinistra e delle speranze collettive che alimentava ci priva di tutte le difese intellettuali e morali e produce un generalizzato corrompimento delle coscienze, accelerato dalla crisi economica.
Sul piano collettivo il processo mi pare particolarmente avanzato: di fronte ad accadimenti come la compravendita dei deputati, il sistematico stravolgimento della verità, il razzismo esplicito, le porcherie piccole, medie e grandi che si osservano ogni giorno, nella politica come nella cultura non ci sono più occhi per vedere, orecchie per ascoltare e parole per dire. Ci mancano del tutto quelle figure di “filosofi”, di “uomini di lettere”, capaci di penetrare la crosta di menzogna che ricopre la realtà, di estendere la consapevolezza, di favorire il ritorno alla razionalità sociale e a una ragionevole socialità per mettere fine ai processi di marcescenza. Non ci sono più neanche un esilio, un carcere che siano riserve di intelligenza e di speranza: la capacità di corruzione di questo regime è persino maggiore di quella che avevano il fascismo o il nazismo. Ognuno in esso, cercando un adattamento, subisce una degenerazione.
Gramsci, con la sua forza morale e la sua potenza intellettuale, può forse aiutare a guardare lontano, a un futuro che non vedranno i pochi che ancora oggi, più per istinto che per coscienza, reggono e provano a dire al regime “non mi avrete”. Ma anche alcuni tra loro sono già nella fase dello sdoppiamento. Provano orrore per la trasformazione in atto, ma vedono gli altri e se stessi cambiare senza neppure capire che cosa si possa fare per impedirlo. (S.L.L.)
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