C’è un magnifico libro, del 1974, su un periodo importante della storia oscura della Fiat. Si intitola Gli anni duri alla Fiat ed è edito dalla Einaudi. Lo costruirono con documenti e testimonianze di prima mano Sergio Garavini ed Emilio Pugno, due sindacalisti che operarono a lungo a Torino. Entrambi, con diversi ruoli, negli anni della sconfitta della Fiom nella più grande fabbrica di Torino, negli anni Cinquanta di Valletta, dei massicci licenziamenti e dei reparti confino, organizzarono la difficile resistenza e prepararono il tempo della ripresa delle lotte, della ritrovata unità dei lavoratori, di importanti conquiste di libertà e di salario.
Il libro racconta la pressione del padronato per ottenere in fabbrica un potere arbitrario ed assoluto, le vessazioni contro i “non volenterosi” (era questo il nome che si dava ai militanti e agli iscritti della Fiom e ad altri operai riottosi), il vero e proprio terrore messo in atto dalla direzione in molti reparti, le fortissime limitazioni ai diritti sindacali, alla libertà di parola e perfino d’opinione, spesso realizzate con il concorso della polizia o dei carabinieri.
E racconta anche del sostegno esplicito ai “sindacati collaborativi” Cisl e Uil, della campagna di persuasione, ideologica, svolta con i mezzi di allora, più semplici e poveri di quelli attuali, ma con le stesse argomentazioni dell’odierno attacco alla Fiom.
E racconta anche del sostegno esplicito ai “sindacati collaborativi” Cisl e Uil, della campagna di persuasione, ideologica, svolta con i mezzi di allora, più semplici e poveri di quelli attuali, ma con le stesse argomentazioni dell’odierno attacco alla Fiom.
Ecco come esempio qualche stralcio da un volantino di propaganda filopadronale:“Per una grande Fiat esempio di democrazia: una piccola Fiom! E’ vero che la Fiat attuale è soltanto un’organizzazione sindacale per la difesa degli interessi dei lavoratori? No! Lo era la vecchia Fiom di Bruno Buozzi. La Fiom si oppone ai lavoratori della Fiat, battendosi in pratica ogni giorno contro la collaborazione aziendale, unica via attraverso la quale si può eliminare lo sfruttamento dei lavoratori, si possono aumentare le possibilità di lavoro, eliminare quindi i licenziamenti e le riduzioni d’orario, ridurre i costi nell’interesse dei lavoratori e dei consumatori…
L’avvenire della Fiat risiede nella capacità e nello spirito di collaborazione delle direzioni e delle maestranze che assicuri migliori condizioni per la riduzione dei prezzi e consenta maggior consumo in Italia e forte esportazione nel mondo.
Il voto Fiom è un voto contro lo sviluppo della produzione e della Fiat, per l’incertezza nel lavoro.
Vota per la democrazia; non votare Fiom-Cgil”.
La discriminazione in fabbrica, corroborata da un esteso lavoro di schedatura dei dipendenti e la raccolta di ogni sorta di informazioni sul loro conto, usava spesso, ed esplicitamente, come elemento di separazione dei “buoni” dai “cattivi” la partecipazione o meno agli scioperi, che la direzione tendeva a proibire nei fatti. I sindacalizzati Fiom più attivi erano sottoposti a un controllo asfissiante, mentre intorno a loro si faceva “terra bruciata”.
Ecco la testimonianza di un membro Fiom della commissione interna:“Si è creato attorno a noi un timore che ci isola. Non ci sono più operai che abbiano il coraggio di parlare con noi perché chi ci avvicina, per qualsiasi motivo, anche il più estraneo ai problemi sindacali, cade subito in sospetto dei capi e dei sorveglianti. spesso basta un contatto casuale, magari un saluto o un colpo di mano sulla spalla, perché subito l’operaio si veda interpellato da un capo o da un sorvegliante”.
A un altro i contatti con gli altri lavoratori vengono impediti in maniera diversa:“Nel febbraio del 55 sono stato trasferito alle fonderie. Mi hanno messo in una cabina di trasformazione dalla quale non mi muovo mai. Essa richiede la mia continua presenza, per cui non posso nemmeno andare in refettorio e consumo i pasti rinchiuso dietro i vetri della cabina. Ho un telefono interno col quale comunico col caposquadra e col caporeparto”.
Volantini non firmati, ma di evidente origine aziendale, sono messi in giro nelle officine per spiegare che la Fiom può creare solo danni al lavoratore: “I pochi rappresentanti Fiom in commissione interna non rappresentano nulla. In qualsiasi questione importante e concreta l’intervento di un rappresentante Fiom ha effetto negativo. Passaggio di qualifica, concessione dei prestiti, invio dei figli alle colonie, assunzione dei figli nella scuola apprendisti Fiat, niente di ciò può essere ottenuto se ci si mette in mezzo un rappresentante Fiom!
E’ la sterilità d’azione che condanna la Fiom! Insomma con la Fiom in Fiat non c’è niente di buono!”.
Alla richiesta Fiom di incontri e contatti la direzione risponde con lettere di questo tipo:“Oggi più che mai la Fiat, in un clima di solidarietà aziendale, è fermamente decisa a compiere ulteriori passi in avanti in tale azione, secondo le possibilità di volta in volta emergenti dalle risultanze produttive: ma per la realizzazione di tali obiettivi può essere ricercato unicamente il concorso di quelle correnti sindacali che dichiaratamente ispirano la loro azione a principi di piena collaborazione aziendale, indispensabile premessa per un sempre più vivo progresso dell’azienda sul piano produttivo e sociale, nel comune inscindibile interesse dell’azienda stessa e dei lavoratori.
F.to Gaudenzio Bosco”.
Molto interessante è una delle appendici del libro, il diario dell’operaio Giuseppe Dozzo, che racconta il suo calvario dal 16 novembre 1956, quando viene spostato dal posto di magazziniere a un reparto “speciale” (quelli dedicati al “trattamento” degli operai comunisti) fino al suo licenziamento ai primi di gennaio del 1958. Altro che mobbing! è una vera persecuzione!
Il diario comincia con un tono malinconico:“Oggi per l’ultima volta le mie mani si sono sporcate di polvere e grasso di quelle matrici e punzoni che tante volte ho spostato, ordinato, amato come oggetti di valore”.
Ma Dozzo non pretende compassione. Quando gli comunicano lo spostamento alla famigerata officina 24 commenta:“Da questo momento non sono che uno dei tanti. Ma non mi sento né vittima né martire”.
Dozzo è capace di umorismo. Così quando il signor Sandrino, il capo cui viene affidato, scherza sul suo cognome, assai simile a quello di un noto dirigente comunista, Dozza, al tempo sindaco di Bologna: “Sandrino mi chiede il nome. “Dozzo” – dico io. “Non Dozza, – dice lui – e poi?” “Giuseppe di Vittorio”. Mi guarda male. Non è colpa mia se mi chiamo Dozzo e non Dozza e se sono Giuseppe figlio di Vittorio.”
Il racconto di Pugno e Garavini ha un finale, in qualche modo, lieto: la ripresa unitaria del 68 e le nuove più avanzate lotte per la democrazia in fabbrica e per il miglioramento della condizione operaia; ma le parole di gratitudine sono essenzialmente rivolte ai tanti compagni di cui non si fa il nome che hanno pagato di persona per la discriminazione e la rappresaglia del padrone e viene reso omaggio alle loro doti che sono quelle caratteristiche dei militanti: intelligenza, coraggio, tenacia, modestia.
Come bilancio di quegli anni gli autori scrivono:
“E’ stato quello un periodo in cui, di fronte alla sistematica selezione prodotta dalla lotta di classe, con duemila quadri della Fiom licenziati in pochi anni, e alla necessità di un impegno nel quale stavano sia il momento della propaganda e della presa di posizione aperta sia quello della riservatezza e quasi della clandestinità, si è ancora una volta sentito cosa significa la parola compagno, si è creata una profonda unità politica in un gruppo dirigente essenzialmente legato a quella esperienza”.
Della sconfitta Fiom nelle elezioni per la commissione interna nel 1955 si torna a parlare in questi giorni e qualcuno, anche tra i centrosinistri del Pd, sembra auspicare una dura lezione al sindacato metalmeccanico della Cgil. Non dovrebbero scordarsi quello che avvenne dopo cioè, la distruzione in fabbrica di ogni principio di legalità, di ogni libertà sindacale. Si può sperare anche oggi in una nuova resistenza, forte e coraggiosa come quella di quegli anni, ma forse sarebbe meglio non far precipitare i lavoratori (tutti i lavoratori) nel buco nero della restaurazione vallettiana.
In effetti il futuro è già stato abbondantemente scritto al riguardo...
RispondiEliminaTi segnalo ad esempio la citazione nel seguente post http://robertocelani.blogspot.com/2010/12/fiat-le-magnifiche-sorti-e-regressive.html