19.1.11

Le parole di Walter Cremonte. Araldo ("micropolis", aprile 2007)

La sera del 22 marzo scorso il programma televisivo di Giovanni Minoli La storia siamo noi ha proposto una singolare riflessione in chiave di storiografia controfattuale, cioè di storia “fatta con i se”: il programma simulava ciò che sarebbe potuto accadere se il 18 aprile del 1948 avesse vinto non la Democrazia Cristiana ma il Fronte Popolare e per rendere più verosimile l’ipotesi di partenza utilizzava, oltre a filmati d’epoca contraffatti piuttosto credibili nelle immagini e nel commento sonoro, le finte (rovesciate) memorie dirette di due vecchie volpi come Andreotti e Curzi. La cosa era interessante, anche se si capiva ben presto dove il gioco andava a parare: mostrare quali catastrofi sarebbero accadute in conseguenza dell’ipotizzata variabile, e dunque confermare nel telespettatore, che si suppone sempre moderato, la soddisfazione per lo scampato pericolo. La morale sottintesa era che la storia si può pure fare con i se, ma che è sempre meglio accontentarsi di come le cose sono andate realmente e, quindi, di come continuano ad andare.
Questo non vuol dire che sia un errore lavorare su questo terreno e con questo metodo; anzi, penso che tocchi proprio alla sinistra - che in genere ha perso le sue battaglie (non tutte!) - provare sempre la carta del “poteva andare diversamente”: e se Spartaco avesse vinto? E’ del tutto ovvio che il problema non è la storia con i se o senza se, ma chi questa storia la fa. Ma a parte tutto questo, un aspetto del programma mi ha colpito particolarmente: l’ipotesi ben “documentata” della reazione che, in caso di vittoria della sinistra, avrebbe scatenato la Chiesa. Una reazione che avrebbe utilizzato qualsiasi mezzo, fino a promuovere una guerriglia cattolica e una guerra civile dei cattolici contro i comunisti (a partire dal Veneto e dalla Toscana: un’altra volta i “viva Maria” di Arezzo?). Questo risvolto guerriero della Chiesa in fondo non mi ha molto sorpreso, anzi, ha ridestato dei ricordi un po’ assopiti della mia adolescenza; mi ha fatto ricordare una canzone che si cantava ancora non nella Spagna franchista, ma in una parrocchia della democratica Perugia al passaggio dagli anni cinquanta ai sessanta, e che faceva pressappoco cosi: “Qual falange di Cristo redentore / la gioventù cattolica in cammino... Bianco padre che da Roma / ci sei meta luce e guida / in ciascun di noi confida / su noi tutti puoi contar. / Siam gli arditi della fede / siam gli araldi della croce / a un tuo cenno e a una tua voce / un esercito all’altar...”. E la cantavo anch’io, che pure non capivo cosa volesse dire esattamente la parola “araldo” (e a dire la verità non lo so neanche adesso); però mi faceva un effetto strano, mi faceva sentire importante. Il fascino di quella parola dal suono antico nascondeva bene ai miei occhi di ragazzino tutta quella miseria culturale e anche il crimine (eventuale, ipotetico, se...) che chi aveva un tempo scritto quella canzone si era apprestato a commettere.

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