20.2.11

La mossa di Vendola e i buoni consigli. L'articolo della domenica.

Racconta Bartocci su “il manifesto” che Nichi Vendola, prima della controversa apertura ad una “grande alleanza” che arrivi fino a Fini e della indicazione come premier di Rosi Bindi, si sia consultato con pochissime persone, tra cui Fausto Bertinotti. “Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio”. La “mossa”, a quanto si legge, sarebbe stata determinata dal terrore dell’isolamento politico: dato l’attaccamento del popolo al “voto utile”, l’insistenza sulle primarie avrebbe potuto condurre agli stessi esiziali risultati del cosiddetto “arcobaleno”.
In verità i risultati di questa trovata sono stati assolutamente negativi. Non a caso i giornali della destra puttaniera hanno festeggiato con paginoni la “mossa”, mentre i “ronzini di razza” del Pd, Veltroni e D’Alema, una volta tanto in sintonia, l’hanno letta come un ritorno all’ovile della pecorella smarrita, la prova provata che Vendola sarà alleato del Pd, qualunque alchimia (o qualunque porcata) i suoi vertici proporranno.
Forse non è così, forse il “ragazzo di Puglia” è tutt’altro che domato; ma oggi, grazie all’errore compiuto, lo trattano a pesci in faccia, con l’arroganza del vincitore che concede una resa incondizionata. Da qui i toni trionfali di tanti piddini a tutti i livelli (con l’unica eccezione di Romano Prodi): “era ora”, “ma chi si credeva di essere” “il candidato lo decidiamo noi”. Da qui la freddezza della stessa Bindi: “Sono lusingata, il problema delle donne al vertice nella politica e nella società italiana esiste, ma noi il candidato l’abbiamo ed è Bersani”. Da qui, infine, la recuperata sicumera del segretario Pd, che irride alle “narrazioni” care a Vendola e prospetta un “sogno con i piedi per terra”.
Acide sono state, a loro volta, le risposte di quanti nell’estrema sinistra diffidavano di Vendola: “ve l’avevamo detto”, “era una meteora, un altro Cofferati”, “è un traditore”, “è un veltroncino”. La mala pianta del settarismo facilmente alligna dalle nostre parti, per cui in queste dichiarazioni si avverte una malcelata soddisfazione. Poco importa a certa gente che con la scomparsa di Vendola e del suo racconto di un’Italia diversa potrebbero venire meno tante delle speranze che hanno suscitato, della forze che hanno messo in movimento.
Gli apparatniki della cosiddetta Fed (Rifondazione & C.) sembrano poi presi da un’allegria senza ragioni: “mors tua vita mea” – pensano; e convocano strane manifestazioni “per la Bindi senza Fini” e riunioni di quadri. Un attivismo sterile e inconcludente che nasce dal sogno proibito di tornare alla comoda inutilità in cui sono cresciuti: qualche deputatura, carrierine politico-amministrative locali garantite, consulenze per gli amici, senza che questo comporti niente di buono per il popolo lavoratore.
Risibili appaiono le reazioni anche in Sel, il partitino che fa capo allo stesso Vendola. Pare che osannino allo “spariglio” operato dalla mossa del presidente pugliese, che avrebbe impedito una presidenza Draghi, Monti o Montezemolo. Ma quella in atto in Italia non è una partita a scopone e la presidenza è tuttora in mano a Berlusconi: lo spariglio non funziona. In verità anche in Sel trapela una stupida e immotivata soddisfazione. Pensano: entreremo in ogni alleanza, il fascino mediatico di Vendola (come un tempo quello di Bertinotti) porterà a successi elettorali, ci saranno deputature, carriere locali, consulenze, per molti se non per tutti. Su fb i propagandisti di Sel citano sondaggi e parlano di quattro milioni di voti, ma i più a queste cifre non sembrano credere troppo e casomai esultano per lo scampato pericolo: uno scontro duro con il Pd nelle primarie inevitabilmente avrebbe comportato l’apertura di conflitti a livello locale, che è l’ultima cosa che il quadro medio di Sel desidera.
Diversa è la situazione nelle cosiddette “fabbriche di Nichi”. In molte località organizzano e mobilitano energie politiche giovanili, collegate alle battaglie universitarie dell’Onda, alle tematiche della precarietà e dei beni comuni. Erano state pensate come strumento di iniziativa politica in vista di primarie che non appaiono più all’orizzonte. Lo sconcerto in quel mondo è grande e profondo; come nei movimenti che guardano al governatore pugliese come ad una speranza; come nella sinistra diffusa. Sono tante, infatti, le donne e gli uomini che, stufi dei carrierismi, delle guerre personali, dei cedimenti culturali e politici al berlusconismo, hanno perso ogni fiducia tanto nel Pd quanto nei piccoli apparati della sinistra extraparlamentare: essi ascoltano con molto interesse il ragionare di Vendola e considerano la sua figura decisiva per la cacciata di Berlusconi, utile per la ricostruzione di una sinistra decente.
Il rischio più grave è che nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, lo sconcerto, la perdita di fiducia di tutti costoro si trasformi in un progressivo disimpegno. Credo che della cosa si sia accorto lo stesso Vendola e tenti di correre ai ripari, benché non sia frequente tra i capi politici il ricorso all’antica battuta dell’ispettore Rock, “anch’io ho commesso un errore”.
Vendola, in ogni caso, ha convocato per il prossimo 27 un raduno a Roma, quasi certamente per correggere il tiro. Andare alle elezioni proponendo una coalizione di “scopo”, per poche cose di assetto istituzionale, come sembrava suggerire Vendola nell’intervista dello “spariglio”, è in effetti la via migliore per perderle, soprattutto in tempi di crisi: l’untuoso moderatismo dei centristi vecchi e nuovi non è in grado di offrire speranze e prospettive a chi più soffre. Aprire a Fini, per di più mentre il movimento di costui andava in pezzi, è stato poi un errore politico grave, anche di tattica. Ma vi si può rimediare: sono grandi le risorse dialettiche del poeta di Puglia.
Se vuole essere utile alla sinistra e all’Italia è necessario che torni al suo “racconto”, quello per cui il berlusconismo non è solo lo strapotere di un cavaliere, maschilista e porcone, padrone della tv, che viola le regole democratiche, attacca la giustizia, mortifica il parlamento eccetera eccetera, ma anche “il governo dei padroni”, che precarizza la vita, abolisce i contratti nazionali, sottrae reddito e diritti al lavoro, lo sottomette a feroci logiche di profitto nelle fabbriche come in tutti gli altri luoghi di attività, ma è anche una regressione culturale e politica generalizzata tale da colpire le donne, gl’immigrati, la cultura, i servizi sociali e le libertà civili.
Nel “berlusconismo” - ci ha spiegato Vendola in questi mesi – tutto si tiene e non si può riconquistare la democrazia politica senza un rilancio della democrazia sociale. La prima conseguenza è che con i “pentiti” del berlusconismo politico, Fini e Casini, si devono certamente cercare convergenze sui temi delle “regole politiche”, le leggi elettorali, il sistema mediatico, l’amministrazione della giustizia, per bonificare il terreno dalla peste autocratica e mediatica, ma non si possono fare accordi di governo perché sull’assetto liberista dell’economia essi sono dalla stessa parte del cavaliere. La seconda conseguenza è  che anche nel centro sinistra c’è una battaglia dura da combattere, perché il peso delle culture decisioniste e liberiste è forte anche nel Pd.
Vendola, con intelligenza, pensando le elezioni vicine, aveva scelto come terreno di confronto culturale e politico le primarie; di fronte all’imprevedibile tenuta parlamentare del gran corruttore sconta una grave difficoltà. Viene da qui, probabilmente, l’impasse che lo ha condotto alla “mossa”: chiedere le primarie non basta più, occorre altro, ma è esattamente il contrario del tatticismo da palazzo in cui si è cimentato con un totale insuccesso. Berlusconi, è ormai evidente, non lo butta giù quel Parlamento che lui stesso ha trasformato in mercato. E non lo butta giù la magistratura. Ne inventerà sempre una nuova, per ritardare, bloccare, impedire, fino allo scontro totale. Solo la piazza, solo la spinta di massa può cacciarlo.
Vendola ha pertanto un compito che rientra nelle sue corde: unificare le tante opposizioni, sociali, politiche, culturali, morali, religiose. Lavorare perché anche da noi accada qualcosa che somigli a quanto sta accadendo in Nord Africa. Non più giornate episodiche di protesta, ma un movimento di popolo forte e duraturo, che incoraggi gli incerti, ed abbia il suo sbocco nelle dimissioni del sultano. La prima cosa che spero da Vendola nel “chiarimento” del 27 è  dunque questa: un incoraggiamento forte, una spinta alla lotta di massa.
La seconda cosa che mi aspetto con speranza è il passaggio dal metodo al merito. Bisogna che il racconto cominci ad articolarsi in proposte chiare, da subito, a cominciare dai temi sociali. Leggi e misure comprensibili e credibili: sul lavoro, sul salario, sui diritti.
Mi pare questa l’unica via attraverso cui Vendola può recuperarsi e noi possiamo recuperarlo, onde evitare che lo infilino (o si infili) in un buco nero insieme alle speranze che finora ha rappresentato. Alla sinistra diffusa, cominciando dalle poche decine di compagni che mi leggono, io darei un suggerimento. Mandiamogli messaggi, su fb, al suo sito, a Sel, alle Fabbriche, alla Regione Puglia, mandiamogli a dire che lasci perdere la tattica e il palazzo, che l’unica salvezza è la strada e la piazza. Diamogli noi qualche buon consiglio: aiutiamolo a non seguire quelli pessimi che altri gli daranno.

1 commento:

  1. oddio, ma sai proprio tutto!!capisci proprio tutto!! sei un mago della tattica, della strategia, dell'arguzia politica!!C'è un po' di spazio per dirti che sarà meglio che tu ti candidi alle primarie dell'onu perchè sbaraglierai il campo....
    Scherzi a parte, il tuo articolo è un classico di scuola dalemiana. la vicenda Bindi, come era nelle previsioni, è durata un giorno, giusto il tempo per far incazzare un PD che tuuti hanno visto scoperto nelle sue strumentalità. Fine. Chi ci ha abboccato è chi aveva già in animo di aspettare Nichi al varco... ma quelli c'erano, ci sono, ci saranno sempre, e vanno difesi perchè sono preziosi per l'idea di libertà che intendiamo praticare.

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