28.2.11

La Libia è un'altra cosa?

Sulla Libia ho le idee tutt’altro che chiare. Non ho mai avuto per i nazionalismi arabi (Arafat incluso) le grandi simpatie che molti hanno avuto a sinistra e Gheddafi non mi è mai piaciuto; ma sono tuttora convinto che l’imperialismo Usa sia una realtà concreta e una brutta bestia. Né mi incanta granché il fatto che oggi in Usa vi sia un’amministrazione democratica, per cui ho simpatizzato e, su molte questioni, tuttora simpatizzo. Studiando mi sono convinto che, fin dalla Atene antica, paradossalmente, negli stati imperiali antichi come moderni, i governi democratici sono spesso più aggressivi e più “imperialistici” dei governi conservatori. E, benché di recente l’amministrazione Bush, forse anche per familiari interessi petroliferi, si sia caratterizzata per un esplicito bellicismo, non dimentico che la guerra del Vietnam fu iniziata da Kennedy e la sua escalation fu governata da Johnson.
Non ho, in questi giorni, avuto il tempo e la possibilità di documentarmi abbastanza da farmi un’idea mia: vedo che, nell’ambito della sinistra bene informata, Luciana Castellina su “il manifesto” e Antonio Moscato nel sito “Movimento operaio” (vedi in questo blog http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/02/il-difficile-nodo-della-libia-di.html ) non sottovalutano il peso degli interessi economici e strategici degli Usa sui possibili sviluppi della vicenda, ma ritengono che alla base della rivolta libica vi siano motivazioni analoghe a quelle dell’Egitto o della Tunisia: dei governi tirannici e corrotti che hanno progressivamente tradito le originarie ispirazioni di un socialismo arabo, una aspirazione alla libertà ampiamente intesa presente soprattutto nei più giovani. Il punto di vista che qui presento, dal sito “Mondo cane”, il “contro blog” di Fulvio Grimaldi, è molto diverso: Grimaldi sembra convinto che nel caso della Libia la spinta decisiva sia venuta dall’esterno, dagli interessi Usa e israeliani, e che la scelta di Obama e del Pentagono sia una sorta di risposta ai rischi della perdita di peso nei paesi vicini, dopo le recenti sommosse dirette contro tiranni filooccidentali. Non so se questo rappresenti una conferma del punto di vista di Grimaldi, ma stamani Bordin nella rassegna stampa di Radio radicale raccontava che in un sito che i bene informati ritengono emanazione del Mossad si parla di un centinaio di consiglieri militari americani, inglesi e francesi già presenti in Cirenaica. (S.L.L.)


Occhio, la Libia è un'altra cosa
di Fulvio Grimaldi

Noi siamo la razza che governa il mondo... Non rinunceremo al nostro ruolo nella missione della nostra razza, grazie a Dio, per la civilizzazione del mondo... Dio ci ha fatto il suo popolo eletto... ci ha reso tanto capaci di governare da poter gestire governi tra popoli selvaggi e senili.
(Senatore Usa Alfred Beveridge) 
 
La stampa è tanto potente nella creazione di immagini da poter far sembrare una vittima il criminale e mostrare la vittima come fosse il criminale. Questa è la stampa, una stampa irresponsabile. Se non stai attento, i giornali ti faranno odiare la gente che è oppressa e amare coloro che opprimono.
(Malcolm X, "Discorsi e dichiarazioni selezionati")

C'è da aspettarsi che i progressi in fisiologia e psicologia diano ai governi molto più controllo sulla mentalità dell'individuo di quanto non ne abbiano perfino gli Stati totalitari. Fichte disse che l'educazione dovrebbe puntare alla distruzione del libero arbitrio in modo che, quando gli studenti hanno lasciato la scuola, siano incapaci per il resto della vita di pensare o agire diversamente da quanto avrebbero voluto i loro maestri.
(Bertrand Russell, "L'impatto della Scienza sulla Società")

Fatta la tara al sistema mediatico occidentale e magari ascoltata l'emittente dell'America libera, Telesur, e anche la problematicità di Al Jazira, deprechiamo pure il bagno di sangue in Libia, con la repressione dei settori fedeli a Gheddafi, ma anche con l'ambiguità di un'informazione le cui contraddizioni tra commenti e immagini sfida la logica. E le cui motivazioni e i cui burattinai dovrebbero sollecitarci qualche riflessone. Non arrendiamoci al sanguinolento Grand Guignol che tutta la stampa, destra e "sionistra", in quell'unanimità che fa sempre gioco alla destra, spara sulla Libia e contro Gheddafi. Bombardamenti aerei sulla popolazione, mercenari stragisti, defezioni di militari, aviazione, ambasciatori, feriti sparati negli ospedali, testimoni rientrati che hanno "sentito colpi di fucile", migliaia di cadaveri per le strade, "esperti" tv fuorusciti da trent'anni dalla Libia che invocano la democrazia occidentale, mosche su quella patacca che passa per viva ed è già putrescente e ancora vorrebbe infettare i popoli che ne sono esenti... In Iraq cianciavano di fosse comuni di Saddam, mai trovate, mentre ne allestivano per migliaia, oggi un po' per volta scoperte con cadaveri datati dal 2003 in qua.
Molto è già stato smentito, molto non si è mai visto, neanche con immagini da cellulare, le manifestazioni di massa di Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein, stanno alle folle in campo in Libia come un tsunami sta al ponentino. Con ogni evidenza lo scontro è tra schieramenti militari che riflettono la spaccatura nazionale (e i maneggi esterni, italiani compresi), non un'insurrezione di popolo. La spaccatura corre all'interno di militari e apparato politico, a loro volta specchio di una frattura sociale tra tribù e regioni: la Cirenaica, cara agli inglesi che la volevano staccare dalla Libia, da sempre secessionista con mire di emirato islamico, dove oggi si fanno sventolare le bandiere senussite del vecchio re Idriss, burattino del colonialismo (lo stesso eroe nazionale Omar Al Mukhtar detestava i cirenaici e  lì considerava traditori); e la Tripolitania, storicamente più avanzata, moderna, laica. La collusione divenuta collisione tra settori sociali cresciuti attorno agli investimenti stranieri, occidentali, arrivati dopo la svolta liberista gheddafiana dei primi anni '90, e ora ansiosi di arricchimento e protagonismo politico (come i "verdi" iraniani che, pure loro, fanno passare gente da loro ammazzata per vittime del governo), e la massa della popolazione con il più alto reddito pro capite della regione che difende le conquiste dello stato sociale assicurate dalla Jamayria.
Per il Cairo Obama si è speso in favore della transizione desiderata dal popolo ma, ovviamente, reinterpretata pro domo sua; per la Libia tace perché deve nascondere le mani in pasta nella sedizione. Così, l'Ue e Israele, da sempre predoni insoddisfatti e bulimici delle risorse della Libia, ma con l'handicap di aver circuito il leader libico per il suo petrolio, il terrore dei migranti, Unicredit, Finmeccanica, Eni, Acea, Juventus, quattrinose quote libiche salva-imprese. Gli Usa, meno compromessi politicamente e propagandisticamente, eppure fortemente presenti con le loro multinazionali, hanno obiettivi geostrategici più corposi e meglio sostenuti, cosa che può far ventilare un intervento armato, come temuto da Fidel Castro. Puntano alla possibilità di strappare la Libia completamente all'Europa, togliendo a Gheddafi un punto di forza politico-economico, di mettere le mani sul rubinetto del gas e del petrolio libico, in modo da far sgocciolare all'Europa più o meno idrocarburi a vantaggio della propria superiorità e del reclutamento, sotto ricatto petrolifero, di ascari europei per le guerre imperiali. Vogliono appropriarsi della più vasta riserva d'acqua sotterranea dell'Africa (sogno di Israele dopo aver acchiappato, con il Sud Sudan, pseudostato separato grazie al concorso di Israele e comboniani, l'Alto Nilo) e, soprattutto, collocare in Libia quel comando Usa per Africa e Medioriente che è il recentemente costituito Africom. Africom la cui sede è stata rifiutata dall'Algeria (il che spiega anche i moti rivoltosi in quel paese, alimentati soprattutto dai secessionisti berberi, curati dall'Occidente). Insomma un altro dei  lavoretti elencati  nel piano israeliano del 1982 per il mondo arabo, dopo il Sudan spaccato in due e forse, con il Darfur, domani in tre, l'Iraq tripartito tra curdi, sciti e sunniti, il Libano tra cristiani-sunniti e sciti, l'Egitto tra copti e musulmani (ma lì i tiri al tritolo del Mossad sono stati un autogol) e via dividendo e imperando per il resto del pianeta.
Chiediamoci, dunque, a cosa serva la demonizzazione di Gheddafi, di cui peraltro nessuno ammira le eccentricità folcloristiche, ma di cui si devono comprendere le ragioni per l'apertura all'Occidente dopo decenni di scontro asprissimo, in collegamento con molti movimenti di liberazione del mondo. La bufala Lockerbie, lo schianto dell'aereo sulla Scozia, con centinaia di morti in alto e in basso, del quale, sulla base di concreti indizi, si può immaginare uno zampino Cia alla maniera dell'11 settembre, addebitato in un processo-burletta a un cittadino libico, e una campagna parossistica contro il "terrorista" Gheddafi, sostenitore di terrorismi in mezzo mondo a partire da irlandesi e baschi, minacciavano di essere la pistola fumante per lanciare sulla Libia quanto era stato scagliato sull'Iraq. E la Libia, nel mondo arabo, era isolata. Sarebbe stata la fine di uno dei più riusciti esperimenti nazionali e sociali del Sud del mondo.
Si trattava, con la "svolta verso l'Occidente, l'apertura a un mercato moderatamente libero, le fusa ai satrapi bancari e istituzionali europei, la rinuncia (non "distruzione" come i velinari dicono) alle armi di distruzione di massa, di salvaguardare indipendenza, sovranità e benessere del popolo libico. Chiediamoci a cosa serviva la satanizzazione di Saddam, non abbattuto dall'assalto iraniano istigato da Washington e quindi affogato in un oceano di merda e di sangue dalle invenzioni dei centri imperialisti dell'abbruttimento conoscitivo. Ricordiamoci delle armi di distruzione di massa esibite da Powell, Saddam che macinava gli oppositori nel tritacarta, che gassava i curdi, che sbudellava nemici, suo figlio che puniva i giocatori per le sconfitte facendoli giocare con palle di ferro e frustandone i piedi. Ricordiamo che da quelle falsità sono stati uccisi tre milioni di iracheni tra embargo e guerra. Vale per Aristide a Haiti, Chavez in Venezuela, Ahmadinejad, Bgabgo in Costa d'Avorio, Arafat, i pirati e Shabaab in Somalia, Milosevic in Serbia, i sandinisti in Nicaragua, il "terrorismo islamico".
Si tratta manifestamente di costruire nella provetta dei veleni un'opinione pubblica maggioritaria a favore di genocidi pro-democrazia e, con particolare accanimento, di fuorviare un mondo di sinistra, con risvolti antimperialisti, già anticoloniale in tempi meno indecorosi, fino a intrupparlo, come Pinocchio sul carro diretto nel Paese dei Balocchi e dei futuri somari, nelle proprie retrovie. La tremenda lezione del Vietnam, vincitore tanto grazie ai Vietcong quanto alla collera organizzata di un'umanità bene informata.
Muammar Gheddafi può fare il caudillo decorato come un albero di Natale e socio nei consigli d'amministrazione occidentali quanto vuole. Nessuno da questa parte del Mediterraneo e dall'altra dell'Oceano gli perdonerà mai di aver cacciato un grottesco re-travicello e, con lui, i padrini britannici, di aver ridato al suo popolo le ricchezze predate dai coloni italiani, la dignità offesa dallo stupro culturale dei colonizzatori, di aver costruito una nazione, di aver dato a un popolo del Terzo Mondo, tutto da spremere e tenere in schiavitù a garanzia dei propri privilegi, la forza di una nazione, di essersi fatto pagare un pur minimo risarcimento dagli epigoni dei Balbo e Graziani genocidi.
Qualche saputo stigmatizza che Gheddafi non abbia mai fatto "nulla di concreto per la Palestina. Cosa poteva fare da 10 mila km di distanza e con in mezzo l'Egitto sionistizzato di Mubaraq, senza vedersi bombardato un'altra volta da USraele come quando gli uccisero la figlia? Ha saputo denunciare senza tregua i crimini di Israele, ha invocato e rafforzato un'unità africana contro la manomissione del neocolonialismo. E' stato un appoggio importante per i combattenti irlandesi. Oggi, per le strade del suo paese ci si ammazza. Di chiaro e certo non ne sappiamo ancora niente. Ma sappiamo che in Occidente si mente per la gola. Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein, Somalia, dove di sicuro ci sono popoli insorti contro rais e globalizzazione della miseria, rischiano di fuggire dalla stalla. Guai a perdere anche la Libia, dove quella globalizzazione deve essere fatta arrivare. E' una tragedia più che per Gheddafi, per il popolo libico e, dunque, per noi. Noi italiani, prima di parlare di Libia e Gheddafi, anche solo per sghignazzare sulle sue bizzarrie di costume, o indignarci della sua difesa con le armi di uno Stato che qualcuno vuole divorare, niente al confronto con il nostro guitto mannaro, dovremmo sciacquarci la bocca. E magari cercare di leggere tra le righe di melma di Repubblica o del Manifesto un barbaglio di logica e di verità. E magari, ancora, tirar via da dove schiacciano lotte di liberazione i nostri mercenari.

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