27.5.11

Charlie Chaplin critico teatrale: "Eleonora Duse mi ha strappato lacrime"

La vigilia di Pasqua, il  23 aprile 2011 scorso, “La Stampa”, a corredo di un articolo di Osvaldo Guerrieri su Eleonora Duse, pubblica stralci di una recensione della performance della grande attrice italiana nel dramma La porta chiusa di Mario Praga, rappresentato al Philarmonic Auditorium di Los Angeles nel 1924. Fu pubblicata il 20 febbraio sul “Los Angeles Daily Times” e ne era autore Charlie Chaplin in persona. La divina Eleonora morì nell’aprile di quello stesso anno a Pittsburgh in un stanza d’albergo (figlia d’arte era nata in un’altra stanza d’albergo a Vigevano, nel 1858) e il viaggio che condusse le sue spoglie ad Asolo nel sepolcro che aveva scelto per sé fu una tournée trionfale con tappe a New York, a Napoli, a Roma. Chaplin su Eleonora scrive parole lusinghiere (“la miglior cosa che ho mai visto sul palcoscenico”) con una partecipazione vivissima. L’appassionato del cinema di Charlot comprende di sicuro le ragioni profonde della magica empatia che sembra realizzarsi tra l’attrice e il suo critico. (S.L.L.)   
E' una donna vecchissima, e tuttavia c'è in lei qualcosa che ricorda un bambino patito. Credo sia la semplicità della sua arte. Dietro il bambino c'è un gran cuore che si nutre di esperienza.
La Duse è sprofondata in una poltrona e ha contorto il proprio corpo quasi come un bambino sofferente (il personaggio ha appreso che suo figlio sa di essere illegittimo, ndr). Non se ne vedeva il volto; nessun sussulto alle spalle. Se ne stava in silenzio, quasi senza muoversi. Solo una volta il suo corpo è stato scosso da un brivido di dolore simile a un parossismo, e questo, e l'istintivo raggrinzirsi del suo corpo di fronte alla mano tesa del figlio, ecco quasi l'unico movimento visibile.
Pure, così grande è la sua forza drammatica, di tale entità è la conoscenza che ha della tecnica teatrale, che questa scena letteralmente ti strazia il cuore. Confesso che mi ha strappato lacrime. Quando alla fine la Duse si è girata, le mani abbandonate in un gesto di assoluta disperazione, rassegnazione, resa, è stata la miglior cosa che ho mai visto sul palcoscenico. Il suo dolore, il suo avvilimento, la sua contrizione, erano percorsi da una terribile ironia, e tutto questo stava in quell'unico gesto. Se solo sapessimo dirigere i film com'è stata diretta questa piéce! Alcuni dei più notevoli effetti sono stati ottenuti con modi che infrangono ogni regola...

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