18.5.11

Il nuovo ecologismo dei poveri (Giuseppina Ciuffreda - "il manifesto" 6/5/2011)

Da “il manifesto” del 6 maggio 2011, un articolo che in rapida sintesi racconta dello svilupparsi, dagli anni 70 ad oggi, di un movimento ecologista che ha forti caratteristiche sociali. In molti paesi di quello ch’era una volta il terzo mondo, difendersi dall’aggressione capitalistica all’ambiente diventa anche difendersi dalla miseria immediata. (S.L.L.)

Wangari Maathai
Che l'ecologia sia cosa per ricchi è una convinzione radicata. I poveri, si sa, vogliono lo Sviluppo. Ma quando si esce dai palazzi della politica, dell'economia e della finanza, la realtà è ben diversa. Per milioni di persone lo sviluppo segna infatti il passaggio dalla povertà alla miseria.
Il lato oscuro del progresso economico così come oggi viene concepito è la distruzione della natura. Con la nascita di problemi ambientali planetari e l'imbruttimento del mondo. Ma per le comunità che ne traggono cibo, acqua, materiali per abitazioni e rimedi medicinali, il taglio delle foreste o l'inquinamento dei fiumi è la fine della sopravvivenza quotidiana.
Per questo, per mantenere l'accesso alle risorse naturali sottratte dallo Stato e dal mercato, nel Sud del mondo dagli anni Settanta sono esplosi conflitti e si sono moltiplicate lotte ambientali che hanno preso i nomi di «movimento per la giustizia ambientale», «ecologia sociale» ed «ecologismo dei poveri».
Le esperienze sono ormai migliaia. Qualche esempio: nel 1973 nasce sull'Himalaya il Chipko, movimento di donne tribali che abbracciavano gli alberi per difenderli dal taglio commerciale.
Sempre in India, Medha Patkar anima la resistenza alle grandi dighe sul fiume Narmada. Chico Mendes, sindacalista dei lavoratori di caucciù e inventore delle riserve estrattive che consentivano di estrarre il lattice senza distruggere la foresta amazzonica, viene ucciso da fazenderos nel 1988.
In quegli anni Wangari Maathai, premio Nobel per la pace 2004, fonda in Kenya il Green Belt Movement, per riforestare l'Africa. In Irian Jaya (Papua, Nuova Guinea), negli anni Novanta, Mama Yosepha, leader indigena, si batte contro la più grande multinazionale mineraria, la Freeport, che devasta il territorio. Ken Saro-Wiwa, intellettuale che si opponeva con gli Ogoni all'estrazione petrolifera Shell nel delta del Niger, viene ucciso nel 1995, dopo un processo sommario. In Bolivia, nel Cochabamba, la popolazione ferma la privatizzazione dell'acqua, venduta dal governo a holding straniere, e per riaverla nello stato indiano del Kerala le donne conducono una lotta tenace contro la fabbrica della Coca Cola.
In Ecuador le associazioni indigene, protagoniste del cambiamento politico nazionale, hanno lottato per fermare le trivelle della Tesco. E proprio quest'anno un tribunale ha riconosciuto il loro diritto al risarcimento per le devastazioni delle foreste causate dall'impresa petrolifera.
Negli ultimi anni la coscienza ambientalista dei poveri si è rafforzata per il cambiamento del clima - siccità e inondazioni disastrose -, realtà drammatica nella loro vita quotidiana. Non è un caso dunque che i diritti della natura siano citati, per la prima volta al mondo, proprio nelle Costituzioni di due paesi poveri: Ecuador e Bolivia.

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