9.8.11

Giovanni Passannante. L'anarchico, i fiori della regina, la poesia inesistente.

E’ uscito poco meno di due mesi fa il film Passannante, con qualche successo di critica e credo di pubblico. Nell’isolamento in cui attualmente vivo non ho potuto vederlo e nulla so dire sulla sua qualità, ma credo che il film aiuti a disseppellire una manifestazione di orrenda ferocia di casa Savoia, che non solo negò sepoltura al corpo del cuoco anarchico che aveva quel cognome, tentato regicida, ma ne regalò addirittura il cranio a un museo pseudoscientifico di criminologia.
Nel 2007, grazie all’impegno dell'attore e drammaturgo Isidoro Pesce e di alcuni altri intellettuali lucani, le spoglie di Passannante sono tornate nella terra ove nacque. Ma il primato, in questo lavoro di testimonianza e di denuncia, va a Giuseppe Galzerano, editore-scrittore del Cilento, particolarmente attento nel suo lavoro e nelle sue scelte a figure e momenti di vita popolare, di ribellioni anarchiche e socialiste, di comunità contadine del sud, di migrazioni transoceaniche, il cui programma è “Trovare storie e metterle a disposizione”.
A Passannante Giuseppe Galzerano dedicò nell’ormai lontano 1997 un corposo e documentatissimo libro costruito con cura e con amore.  Quella che segue è la recensione che ne fece sul “Corriere della Sera” del 15 dicembre 1997 Giovannino Russo. L’articolo di Russo rievoca a grandi linee la vita, la morte e la mostruosa museale sopravvivenza dell’anarchico del Sud che provò ad uccidere un re per amore della “repubblica universale”, ma anche la curiosa vicenda di una poesia di Giovanni Pascoli, di cui si conosce un solo verso, autentico. Una storia dell’“altra Italia”. (S.L.L.)  
Il 17 novembre 1878 Giovanni Passannante, un cuoco di Salvia, un piccolo paese lucano, attenta a Napoli al re Umberto I ferendolo leggermente. L'attentatore e' subito arrestato.  
Di Giovanni Passannante ho sentito parlare per la prima volta dai suoi compaesani. Ero andato a Savoia di Lucania incuriosito dal nome. Un maestro elementare mi chiarì che il nome del paese era Salvia ma che fu cambiato dopo l'attentato. Il sindaco e le altre autorità del paese, su cui pesava l'onta di averlo tra i cittadini, si recarono a Roma per implorare il perdono dalla regina Margherita che li autorizzò a mutare in nome in quello di Savoia.
Al personaggio di questo anarchico dedica una biografia ricca di documenti, fotografie del tempo e numerose testimonianze inedite lo scrittore-editore Giuseppe Galzerano: Giovanni Passannante. Dal libro emerge il ritratto dell'Italia alla fine dell'Ottocento e delle condizioni sociali in cui maturò il gesto di questo anarchico-contadino che da solo aveva concepito il disegno di colpire la monarchia.
Giovanni Passannante era andato via da ragazzo dal suo paese e aveva lavorato come sguattero e poi come cuoco a Salerno, dove alternava la lettura di testi anarchici e internazionalisti e di giornali rivoluzionari alla gestione dell'osteria in cui offriva pasti gratuiti ai poveri; e per questo venne licenziato dal padrone. A Napoli arrivò qualche giorno prima della visita di re Umberto e vendette la sua giacca per comprare un coltello da pochi soldi. La “Gazzetta d'Italia” così descrive l'attentato: “Quando il corteo reale dalla stazione stava recandosi a Palazzo Reale, a Porta Capuana, improvvisamente dalla folla un uomo di sinistro aspetto, brandendo una stoffa rossa e gridando ‘morte al re, viva la Repubblica universale, viva Orsini’, tenta di accoltellare il re che riceve una scalfittura all'omero sinistro mentre la regina Margherita gli lancia sul volto il mazzo di fiori che aveva tra le mani”. “Il presidente del Consiglio, Benedetto Cairoli, che stava seduto di fronte al re, afferra l'attentatore che continuava a vibrare colpi e riceve una coltellata nella coscia”.
Nel libro si riferisce il dibattito del Parlamento in cui il deputato Giuseppe Romano denunziò la situazione drammatica del Mezzogiorno, le posizioni degli esponenti politici e il coinvolgimento di intellettuali di sinistra tra cui Giovanni Pascoli che, durante una manifestazione, avrebbe elogiato il gesto di Passannante. Il giovane poeta fu tenuto in carcere per oltre otto giorni e accusato di avere scritto un'ode a Passannante che terminava con questi versi: "con la berretta del cuoco faremo una bandiera". Ma sia la sorella sia gli amici hanno smentito che fosse l'autore di questa che diventa una delle più celebri poesie inesistenti della letteratura italiana in quanto, secondo Giambattista Loli, lo stesso Pascoli dopo averla scritta l'avrebbe strappata.
In questo clima in cui le paure del governo si mescolano alle polemiche si svolge un processo in cui, di fronte alla retorica degli avvocati, risalta il carattere sdegnoso del Passannante che non fa nessuna concessione per ottenere clemenza. Fu condannato a morte. Si rifiutò di ricorrere in Cassazione e di chiedere la grazia, tuttavia aveva suscitato troppe simpatie nel popolo sicché si ritenne più opportuno risparmiargli la vita con un atto di clemenza che Umberto I fece il 29 marzo del 1879. La pena fu commutata nell'ergastolo e Passannante fu rinchiuso nel penitenziario di Porto Ferraio dove fu tenuto per dieci anni incatenato in una cella al di sotto del livello del mare. Ridotto a una larva, perse quasi la ragione. Fu perciò trasferito al manicomio di Montelupo Fiorentino dove morì il 14 febbraio 1910. Il cadavere, non si sa per ordine di chi, fu decapitato. Il suo cranio e il suo cervello conservati in una soluzione di formalina sono ancora esposti nel museo criminologico di Roma.
Giovanni Russo 

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