29.8.11

Manutengoli a Nordest. Il Veneto ingrassa clan e 'ndrine (Canetta-Milanesi)

Sul “manifesto” del 27 agosto Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi danno conto della relazione Maroni sulla mafia in Veneto. Ne emerge con chiarezza che il “manutengolismo” (vedi http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/08/mafia-economia-il-manutengolismo-da.html )  non è più caratteristica delle regioni meridionali. Da un lato ci sono organizzazioni criminali italiane ed estere le cui disponibilità economiche sembrano non soffrire della crisi, anzi se ne giovano, dall’altro pezzi di imprenditoria autoctona in sofferenza, che entrano nel giro dell’usura e del riciclaggio. Ma non manca tra gl’imprenditori locali chi da vittima si fa complice e promotore di illegalità e di sopraffazione, come non mancano amministratori, professionisti, consulenti veneti pronti ad avvantaggiarsi della collusione con le organizzazioni criminale. Le mafie est-europee ed africane, dal canto loro, oggi stringono accordi soprattutto con la malavita veneta, ma non mancheranno (se non le si ferma) prima o poi canali verso l’economia legale. Dell’articolo riprendo un ampio stralcio. (S.L.L.)

Usura e riciclaggio, professionisti in giacca a cravatta al servizio delle «scatole cinesi», cricche e clan che prosperano nelle nicchie dell'economia assistita. È il Veneto dipinto dall'ultima relazione anti-mafia che il ministro Roberto Maroni ha depositato in parlamento. Una «fotografia» del Nord-est che stride con la propaganda (non solo politica) che istituzionalmente offusca la realtà.
La relazione del ministro dell'Interno al Parlamento sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia a luglio-dicembre 2010 (che è appena stata diffusa) certifica il salto di qualità di «famiglie», clan e 'ndrine anche in Veneto. In 536 pagine e 260 tavole la Dia restituisce analiticamente l'evoluzione mafiosa: dall'ombra dell'illegalità alla luce di operazioni finanziarie, con investimenti e partecipazioni societarie più che lecite. Ruota tutto intorno a «una pletora di diversificati assetti societari, ormai paradigmaticamente caratterizzati da profili di particolare efficienza, competitività e versatilità, evidenziate nella capacità di delocalizzazione sull'intero territorio nazionale». Di conseguenza, spiega il rapporto del ministro Maroni, «le imprese colluse sembrano rappresentare i più efficaci vettori della metastasi mafiosa» (pagina 515).

È la Mafia 2.0.
In Veneto, le organizzazioni criminali dalla facciata insospettabile (o quasi) hanno saputo infiltrarsi nei settori più redditizi della nuova economia a cavallo fra pubblico e privato: «Energie rinnovabili, logistica dei trasporti, grande distribuzione, import-export e gestione dei rifiuti» (pagina 517). A tutti gli effetti una nuova frontiera; si integra a meraviglia con gli asset detenuti nella old economy, tutt'altro che abbandonata. Anche a Nord-est «non viene meno la tradizionale presenza mafiosa nelle intraprese di ridotta competenza, quali l'edilizia, il ciclo del cemento e il movimento terra che continuano a costituire alimento irrinunciabile per l'economia criminale globale» come ricorda la relazione della Dia.
Inquietanti, soprattutto, «i profili di contiguità tra amministrazioni locali e criminalità organizzata calabrese che rappresentano una costante minaccia alla lineare gestione degli enti pubblici territoriali». Secondo la Dia, «alcune indagini hanno documentato l'esistenza di plurime aree grigie dove si catalizzano consenso politico e malaffare (...) il modello criminale calabrese si va sempre più affermando dove la 'ndrangheta raccoglie significative opportunità di inserimento». Acclarato nella Lombardia del governatore Formigoni, il fenomeno è all'ordine del giorno nel Veronese del sindaco leghista Flavio Tosi.
Le conclusioni del rapporto lanciano l'allarme su «comportamenti della criminalità organizzata protesi ad attuare saldature operative con rami deviati dell'imprenditoria, dell'amministrazione pubblica, del settore bancario e della politica».

Tessuti sociali vulnerabili
Alla base dell'aumento di usura e riciclaggio, c'è la «vulnerabilità dei tessuti sociali veneti, non solo per quanto riguarda il continuo incremento dei proventi illeciti, ma soprattutto nei confronti del riciclaggio da parte di organizzazioni mafiose connotate da matrice sempre più imprenditoriale». Progressione che la Dia definisce «silente», sottolineando la pericolosità di azioni criminose che non sollevano allarmi sociali assicurando ampi margini di profitto anche a chi "affianca" le mafie come consulente.
Del resto, la criminalità organizzata funziona meglio delle istituzioni. In Veneto la devolution mafiosa non è un annuncio infinito come il federalismo di Stato. Compiti, ruoli, competenze e livelli di governo chiari, semplici e funzionali. E un codice operativo a prova di conflitto di interesse: alla tradizionale mafia le pratiche estorsive, il mercato della droga, l'infiltrazione nel mondo imprenditoriale, la grande distribuzione e i «nuovi mercati» a partire dal fotovoltaico. Alla 'ndrangheta il settore dei trasporti, la logistica, la gestione delle cave, il «ciclo del cemento» (dal cavatore al costruttore, fino all'immobiliarista), ma anche il franchising delle grandi griffe, il comparto turistico e lo smaltimento dei rifiuti. Il resto è sotto la giurisdizione della camorra, costantemente sotto la lente della Dia per le attività che spaziano dai monti di Belluno alla provincia di Rovigo. «In Veneto si continua a monitorare la presenza criminosa di campani che oltre a ostentare una particolare prosperità economica risultano contigui a famiglie riconducibili alla camorra». È la cronaca dell'altra faccia della medaglia a Nord-est. Ristoratori dei Colli Euganei che «strozzano» senza pietà padroncini scaricati dalle banche. Imprenditori «ecologici» (in società con politici Pdl) che entrano a pieno titolo nelle inchieste di Napoli. Numeri uno della logistica formato famiglia che spaziano dalla Croazia, a Parma e nelle piattaforme del sud. «Intermediari» che in piena alluvione fra Verona e Vicenza offrono di rilevare capannoni, imprese artigiane e negozi invasi da un mare di fango. Senza dimenticare commercialisti, notai, consulenti del lavoro e studi di fiscalisti che in tutto il Veneto fatturano flussi di denaro tutt'altro che limpido.
Così negli uffici della centrale Dia in via Torre di Mezzavia a Roma, gli analisti continuano ad applicarsi al «lato B» di supermercati, parchi commerciali, outlet, discount e cittadelle dello shopping. «Per la criminalità organizzata rappresentano un mezzo doppiamente utile: servono a riciclare il denaro sporco ma sono anche un importante strumento per consolidare il potere illegale sul territorio attraverso l'offerta di impieghi nell'indotto lavorativo» si legge anche nell'ultima relazione del Viminale.

La scalata degli stranieri
In Veneto la penetrazione delle mafie estere è conclamata dallo smantellamento di un alleanza tra i clan albanesi e magrebini a Verona per la gestione del mercato dell'eroina nel Nord-est. I primi si occupavano di importare la droga dai Balcani, i secondi erano incaricati di smerciare lo stupefacente nelle piazze del Veneto (p. 408). Nel mirino anche la crescente pervasività dei clan nigeriani che «continua a evidenziare proiezioni transnazionali grazie alla presenza di connazionali che garantiscono supporto logistico e operativo» (pagina 428). A riguardo, il rapporto del ministero dell'Interno rileva la particolare capacità della mafia di Lagos di «integrarsi negli ambienti criminali di destinazione e nello stringere alleanze con le organizzazioni criminali autoctone». I dati della Dia confermano poi il ruolo predominante delle mafie rumene e moldave, veri e propri "padroni" del mercato della prostituzione ormai non solo in Veneto.

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