30.8.11

Paradossi italiani. Le discariche abusive aperte dai prefetti.

Una discarica a Siculiana (Ag)
“A sud’europa”, la rivista on line del Centro Studi Pio La Torre del 27 giugno 2011 pubblica un articolo di Giusy Ciavarella dal titolo Seicento le discariche abusive siciliane. Il record a Messina, 250 milioni per sanarle.
Le cifre sono importanti, ma la notizia non sorprende, come non sorprende la storia che si racconta, di scarsa consapevolezza, di ritardi burocratici, di malversazioni se non di ruberie.
Pare che finalmente la Regione abbia stilato un piano programmato di interventi per le discariche mai sanate che contengono rifiuti speciali e pericolosi, specie per quelle che hanno raccolto rifiuti di tipo industriale, spesso “riempite da materiale molto inquinante, in grado di penetrare nelle falde acquifere e di modificare la struttura del terreno”.
Tutto ciò allarma, ma, seppure vagamente, immaginavo che accadesse. In Sicilia ed in altre regioni sono cresciute davanti agli occhi di tutti, governanti, amministratori, giudici, medici, sindacalisti e notai, delle vere e proprie città abusive. Perché dovrebbe meravigliare che vi siano in campagne deserte, occultati dalle colline, siti che raccolgono veleni ed altre robacce?
Ma, a leggere l’articolo, s’intende che le discariche in questione non sono quello che m’immaginavo, cioè ricettacoli inquinati di rifiuti inquinanti depositati di nascosto da potenti mafie, poi scoperti e denunciati dalle forze dell’ordine. Di siffatte discariche ne esistono tante e di quando in quando si legge di carabinieri e finanzieri che le portano in luce, ma non sono quelle di cui parla l’articolo.
Ciavarella piuttosto si riferisce a “discariche aperte dai prefetti durante i periodi delle emergenze che poi, finita l’emergenza, sono spesso finite nel dimenticatoio”. Insomma questi depositi di rifiuti non sono affatto segreti o clandestini, ma perfettamente conosciuti dalle pubbliche autorità e, sebbene abusivi, non sono nati da un abuso, ma da una decisione assunta da un’autorità legittima e motivata da uno stato di necessità. L’abuso è venuto dopo, quando i rifiuti sono stati lasciati senza alcun intervento di protezione dell’ambiente circostante e delle popolazioni. E’ accaduto così un paradosso tipicamente italiano: una misura presa per fronteggiare un’emergenza determina a sua volta altre e più gravi emergenze. Io non conosco bene il ginepraio di leggi, decreti e regolamenti che regola la materia; e probabilmente, in base a qualche comma di chissà quale normativa, la responsabilità di quei siti è demandata alla Regione, o al Comune o a qualche autorità locale, di bacino forse, o magari a un’Agenzia (non di pompe funebri, ovviamente). Vale però anche in questo caso il motto toscano caro a Fanfani: “Chi la fa la copra”. Insomma, di chiunque sia la responsabilità formale, il prefetto che apre una discarica d’emergenza non fa il suo dovere se poi l’abbandona a se stessa e alle mafie e lascia che si producano disastri ambientali. Quel prefetto, benché non sia l’unico responsabile, è di certo tra i maggiori responsabili della sorte di quel sito, se non altro per omissione. Ma i peccati di omissione sono a volte i peggiori.
Di questi tempi è frequente, facile e quasi sempre meritato l’attacco ai ceti politico-amministrativi del Meridione e della Sicilia. Pessimi senza dubbio. Ma non aiuta a sbrogliare la matassa tacere le gravi responsabilità dello Stato centrale: dei suoi governanti e dei suoi funzionari. Nel momento in cui da tante parti si chiede, forse a ragione, l’abolizione delle Province, non guasterebbe riprendere la parola d’ordine di Einaudi: via i prefetti!

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