19.9.11

L’ITALIA RICONOSCA LO STATO PALESTINESE (di Agostino Spataro)

Il compagno Agostino Spataro, amico e antico sodale di Fgci, già deputato comunista esperto di questioni internazionali ed oggi giornalista impegnato su importanti vicende siciliane e mediterranee, mi ha inviato questo suo articolo, assai giustamente indignato, dal sito che cura (www.infomedi.it). Lo posto qui, con piena condivisione, nella speranza di contribuire alla diffusione delle verità che Agostino propugna e difende. (S.L.L.)
Yasser Arafat con Agostino Spataro
1.
Mentre ri-esplodono gli scandali delle frequentazioni notturne e diurne di Silvio Berlusconi, permettetemi di ricordare che il suo governo si è assunto la grave responsabilità di votare contro la richiesta, avanzata all’Onu da Abu Mazen, per il riconoscimento pieno dello Stato del popolo martire di Palestina entro i territori del 1967.
Chiariamo, per chi si attarda a capire, che  tali “territori” sono da intendere come palestinesi a tutti gli effetti anche in base alla ripartizione decisa dall’Onu nel 1947 e confermati dalla risoluzione n. 242/1967 del CdS che chiedeva l’immediato sgombero delle forze d’occupazione israeliane.
Purtroppo, in Italia, questo grande problema rischia di passare sotto silenzio, come tanti altri urgenti, sociali e politici, affogati nella brodaglia dello scandalismo suscitato e alimentato dai discutibili stili di vita del presidente del Consiglio.
Insomma, il “no” detto da Berlusconi ai palestinesi credo sia molto più importante e grave di quello che egli avrebbe ricevuto da Emanuela Arcuri.
Perciò, parliamone e soprattutto agiscano i responsabili politici e parlamentari per evitare questo nuovo errore che sbilancia, pesantemente, la posizione dell’Italia a favore della parte occupante.
Al ministro Frattini che considera un errore la richiesta dei rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese del riconoscimento del loro Paese quale 194° membro della Nazioni Unite, bisogna dire che il “vero errore” è quello commesso dal governo italiano che nega tale riconoscimento, senza portare motivazioni convincenti.
Il governo, infatti, non può rifiutare, in nome del popolo italiano, una richiesta legittima e dolorosamente motivata da 63 anni (sì, sessantatre anni, avete letto bene!) di spoliazioni di beni, espulsioni, diaspore, massacri, occupazioni militari, distruzioni di abitazioni, repressione, incarceramenti, sfruttamento della forza lavoro, miseria, privazioni di ogni sorta e persino tentativi di distruzione della identità culturale ed etnica.

2.
Esagerazioni? Faziosità? Per una verifica di tali affermazioni, rimando agli scritti di diversi pacifisti israeliani che le documentano.
Per tutti cito “Sacred Landscape” opera di Meron Benvenisti, esponente israeliano della prima ora, a lungo amministratore di Gerusalemme, ampiamente richiamato da Riccardo Cristiano nel suo  La speranza svanita” (Editori Riuniti, 2002).
In questo testo, scritto non da un arabo facinoroso, fazioso, ma da uno “dei più grandi figli d’Israele”, troverete quello che mai nessun giornalista e commentatore occidentale ha detto sui metodi adottati dagli israeliani per cacciare dai loro villaggi, dalle loro terre gli arabi palestinesi e privarli di ogni diritto.
Dopo è venuto il “terrorismo” palestinese, che personalmente condanno, ossia la risposta disperata di alcuni gruppi al permanere dell’occupazione israeliana.
Per altro, non bisognerebbe dimenticare che in Palestina il terrorismo l' hanno introdotto e, sanguinosamente sperimentato, le bande armate di Begin (che diventerà primo ministro d’Israele) ai danni degli arabi e delle forze di garanzia inglesi che esercitavano il mandato internazionale.

3.
Ho accennato a questi gravissimi precedenti solo per ricordare a certi “benpensanti”, che enfatizzano i “limiti” dell’Autorità palestinese, com'è  nato e si è affermato lo Stato d’Israele che,  nel prosieguo, ha realizzato anche tanti fatti positivi;  quanto è stato lungo il “calvario” del popolo palestinese al quale, dopo 63 anni, non si può chiedere di aspettare ancora, magari altri 40, per vedere riconosciuto il diritto ad avere uno Stato.
Da notare che tale iniquo trattamento è stato applicato soltanto ai danni dei palestinesi.
Mentre, cioè, l’intero terzo mondo si liberava dal giogo coloniale, nascevano nuovi Stati (l’ultimo, il Sud Sudan, è nato un mese fa) e confederazioni di stati, soltanto il popolo palestinese è rimasto senza Stato.
Perché? Che cosa ha fatto di male?
In realtà, i palestinesi il male lo hanno subito, nell’indifferenza generale del mondo; hanno perfino rischiato di essere cancellati dalla faccia della terra, di perdere la loro dignità di popolo che solo grazie all’opera di Yasser Arafat e dell’Olp è stata salvaguardata e rilanciata come una “questione” primaria della politica internazionale.
Se tutto ciò è vero, ognuno si chiede: perché questo popolo al quale è stata sottratta metà della sua terra sulla quale viveva da millenni per insediarvi lo stato d’Israele, che da oltre 40 è sotto occupazione militare israeliana, non debba avere il diritto a creare uno Stato nei territori assegnati dall’Onu?
Domanda semplice e al contempo tremenda, ineludibile, alla quale l’Italia, l’Europa e il mondo intero sono chiamati a rispondere il 22 settembre a New York.

4.
Votare "no" vuol dire negare ai palestinesi, solo a loro nel mondo, il sacrosanto diritto alla libertà e alla sovranità statuale.
Di fronte a questo diritto, non reggono gli speciosi argomenti per aggirarlo e tanto meno le minacce di taluni esponenti israeliani che dimenticano che Israele è uno Stato creato dall’Onu per un risarcimento da altri dovuto, che ovviamente ha diritto di esistere e di vivere in pace con i suoi vicini, ma non di occuparli.
Quanto è difficile fare capire le ragioni dei deboli! Soprattutto, a certi esponenti politici ed analisti, che, spesso, sbagliano l’analisi come l’ultima sulla “primavera araba” che per cacciare il tiranno ha aperto, magari senza volerlo, la porta del dragone.
Forse, per capirle servirebbero più spirito di comprensione e anche uno sforzo d’immaginazione: in questo caso, provando a mettersi nei panni dei palestinesi.
Non può esserci confronto fra chi oggi è vittima di un’occupazione e chi paventa di poterlo diventare domani.
Perciò, spiace che gli Stati Uniti di Obama, invece di dare corso alle speranze che egli stesso aveva acceso anche riguardo alla questione palestinese, continuano a minacciare incomprensibili veti.
L’Italia e l’Europa sono altra cosa; non possono consentire il perdurare di questa grave ingiustizia. Il "no" risulterebbe incomprensibile a tutti i Paesi della Lega araba.
E pregiudicherebbe le possibilità di una ripresa, su basi di equità e di solidarietà (non con la petropolitica e con i bombardamenti della Nato, per intenderci), delle relazioni euro arabe che costituiscono il baricentro, il punto di snodo della prospettiva di pace e di progresso nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, in Africa e in Europa. 

5.
Infine, il voto contrario dell’Italia andrebbe contro il sentimento della maggioranza degli italiani che, da sempre, hanno perorato i diritti d’Israele e quelli (purtroppo disattesi) del popolo palestinese: due Stati per due popoli che potrebbero convivere in pace e in cooperazione.
Su questa scia è andata avanti, anche se pavidamente, la politica estera del nostro Paese.
Se oggi una piccola, ibrida minoranza di deputati chiede al governo di votare "no", ricordo che nel 1982 presentammo al governo una richiesta unitaria, sottoscritta dalla stragrande maggioranza dei  deputati (450, fra i quali i tre segretari di Dc, Pci, Psi: Zaccagnini, Berlinguer e Craxi ossia i rappresentanti di circa il 90% dell’elettorato italiano), con la quale si chiedeva il riconoscimento dei diritti nazionali del popolo palestinese.
La mozione fu approvata dalla Camera, ma il governo, allora presieduto dal troppo filo atlantico Spadolini, non volle dare seguito alla decisione parlamentare.
Non so se si possa fare un confronto fra la maggioranza parlamentare di allora e la minoranza attuale.
So di sicuro che il no annunciato dal governo Berlusconi è il vero errore che bisognerebbe evitare.
                                         
                                                       Agostino Spataro
16 settembre 2011


P.S.
Mi dispiace tediarvi, ma poiché nel nostro Paese, fra pensiero unico e pulsioni sanfediste, la libertà di pensiero pericolosamente si assottiglia, sono costretto a ribadire che questa presa di posizione non scaturisce da un sentimento antiebraico o anti-israeliano, ma solo dalla solidarietà dovuta al popolo palestinese vittima di una lunga ed assurda occupazione straniera.
Sono stato, sono, a favore della giusta causa palestinese, ieri in Parlamento oggi da cittadino comune, ma non per ciò avversario degli israeliani, tanto meno degli ebrei.
A noi piace stare dalla parte delle vittime. Come lo siamo stati, sempre, con gli ebrei perseguitati, massacrati dal nazismo tedesco e dal fascismo italiano.
Quindi, per favore, non si rispolveri l’abusata accusa di antisemitismo, per altro imprecisa poiché – secondo il racconto biblico- semiti dovrebbero essere anche gli arabi.
In ogni caso, la nostra cultura politica marxista ci rende immuni da ogni tentazione razzistica e sciovinista. Non so se chi lancia anatemi possa vantare la medesima immunizzazione.
Se questa precisazione non dovesse essere bastevole, aggiungo che sono figlio di un operaio siciliano (Pietro Spataro) che è stato deportato e per due anni rinchiuso in un lager nazista in Germania e per questo insignito (purtroppo post- mortem) di una medaglia d’onore del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.  (A.S.)

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