24.10.11

Genetica e libero arbitrio. Dalla cronaca nera alla biologia (di Silvia Bencivelli)

L’ottima Silvia Bencivelli di www.effecinque.org , di cui ho già “postato” un paio di articoli (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/05/gli-italiani-e-i-farmaci-generici-di.html; http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/06/diritti-la-lingua-dei-segni-e-il.html)  con la speranza di farli girare, ha il pregio di raccontare brillantemente i fatti e di centrare le questioni scientifiche che essi propongono. Così in un articolo con allegata intervista, da “alias” del primo ottobre 2011, parte dalla cronaca nera per discutere dei rapporti (non soltanto in sede giudiziaria) tra i condizionamenti del patrimonio genetico e le possibilità di una libera scelta. Ne riporto qui un ampio stralcio, insieme alla prima parte del colloquio con Daniela Ovadia, medico-giornalista del mensile “Le Scienze”. (S.L.L.) 
Una sorella avvelenata e poi bruciata, un papà in via di avvelenamento e una mamma avvolta dalle fiamme. Il tutto per mano della figlioletta della solita famiglia piccolo borghese della provincia italiana: la «diabolica» Stefania Albertani.
Stefania sembra il Male incarnato: i suoi atroci misfatti fanno rabbrividire gli amanti del noir, le cronache stravedono per lei, e il suo volto duro, lo sguardo spavaldo fisso nell’obiettivo, compare su giornali per giorni. Ma non guardatela così: non è soltanto colpa sua. Dovete considerare la biologia.
Il giudice del tribunale di Como, infatti, con la biologia ha deciso di fare i conti. Per la prima volta in Europa, ha riconosciuto valida una consulenza tecnica di parte che si è avvalsa di alcuni test scientifici strumentali che hanno puntato il dito su un difettuccio di fabbrica nella mente dell’imputata, difettuccio tale da renderla più incline degli altri alla cattiveria.
A guidare la mano di Stefania, cioè, sarebbe stata (anche) una sua predisposizione caratteriale riconoscibile con tecniche di visualizzazione del cervello. Per questo la pena è stata accorciata in maniera consona alla seminfermità mentale dell’imputata: vent’anni di carcere, invece dell’ergastolo…
Stefania, la diabolica Stefania delle civette dei giornali locali, è la classica bugiarda patologica.
Ha ventisei anni: ha mandato sul lastrico l’azienda di famiglia e ha cercato di nasconderlo in tutti i modi. Ha anche detto in giro di avere lauree, fidanzati, figli in arrivo, che non sono mai esistiti. E poi un giorno ha impedito che il padre comprasse una casetta per la sorella maggiore.
Prima ha prodotto lettere di avvocati immaginari, poi ha inventato tutte le balle possibili per ritardare il più possibile il rogito. E infine ha direttamente fatto fuori la sorella. L’ha stordita a suon di barbiturici e l’ha uccisa, per bruciarne il cadavere nel giardinetto di casa premurandosi anche di scusarsi con la vicina per il fumo. Non contenta, ha passato i due mesi successivi a scrivere altre false lettere ai genitori in cui si fingeva la sorella in fuga verso lidi lontani, e a usare il di lei bancomat per ricaricarsi il telefono. Finché non è andata a fare denuncia di scomparsa.
Ma le troppe incongruenze del suo racconto (insieme alla scoperta del cadavere) indirizzano subito la polizia verso di lei. E così la diabolica viene beccata nel momento esatto in cui sta cercando di dare fuoco anche alla mamma, mentre il papà è lì lì per saltare in aria grazie a un dispositivo infiammabile infilato nel serbatoio della macchina, e comunque è già bello imbottito di psicofarmaci. Per Stefania è inevitabile l’accusa di omicidio volontario premeditato aggravato dai vincoli familiari, distruzione di cadavere e tentato omicidio.
Ma dopo alcune perizie psichiatriche approssimative, l’avvocato di Stefania decide di chiamare Giuseppe Sartori, psicologo dell’Università di Padova, e Pietro Pietrini, psichiatra, docente di biochimica a Pisa ed esperto di genetica comportamentale. Il loro lavoro è preciso e accurato e soprattutto introduce una novità: alcuni test psicologici nuovi, le indagini di imaging cerebrale (cioè quelle che permettono di vedere la forma del cervello) e quelle genetiche. Il risultato depone a favore della seminfermità mentale, come del resto aveva fatto anche la perizia psichiatrica classica condotta sempre da Pietrini e Sartori. E il giudice, attenzione, ne accetta il risultato accordando all’imputata una riduzione della pena.
«La scienza avanza, la psichiatria avanza: perché non tenerne conto? – commenta Pietrini – Del resto fino a oggi le perizie psichiatriche in casi come questi davano sempre risultati molto discordanti tra loro, mentre qui abbiamo cercato di tirar fuori dati il più oggettivi possibile».
Infatti: rendere oggettivo, o più oggettivo possibile, qualcosa che in genere sfuma anche nelle parole degli esperti. Una predisposizione all’aggressività, un ridotto controllo degli impulsi, per esempio. I neuroscienziati giurano che con alcuni test sofisticati (mai usati da soli ma sempre associati ad altri test e soprattutto sempre successivi a una lunga serie di colloqui e di indagini di altro tipo, ci tengono a precisare) tutto questo si possa in un certo senso riconoscere. E che si possano trovare alcune correlazioni interessanti, come nel caso della diabolica Stefania: una parte di cervello che si mostra sensibilmente ridotta rispetto alla norma… , e tre geni su cinque associati all’aggressività nelle varianti più sfavorevoli. Correlazioni, cioè non proprio cause. A Stefania non è bastato, dicono, avere una predisposizione biologica a quel tipo di problemi mentali: ci si sono messi anche
fattori ambientali e familiari, perché la sua era indubbiamente una famiglia disfunzionale. Però,
insomma, qualcosa di predisponente c’era.
…precisa Sartori: «C’era un quesito da risolvere e noi lo abbiamo risolto. Il perito è tenuto a lavorare usando tutte le tecniche migliori a sua disposizione ed è quello che abbiamo fatto…». Solo che il passetto successivo è mettere in crisi il libero arbitrio, mica roba da poco. Quanto era inevitabile che Stefania ammazzasse la sorella e i genitori, quanto avrebbe potuto impedire a se stessa di farlo?
Anche Pietrini conviene che «la questione adesso si fa interessante. E si deve riflettere un bel po’ anche sul senso della pena». Già, perché se dici che la diabolica ha colpito anche per cause biologiche, inscritte nel suo Dna, combinate a traumi infantili irreparabili, come fai a pensare a una pena che abbia un valore rieducativo? «Infatti abbiamo suggerito al giudice, e il giudice ha recepito, di prevedere una prima parte della reclusione in un ospedale psichiatrico giudiziario, perché oggi sappiamo che non è vero che il cervello non si modifica nel corso della vita. Così lei può essere prima curata e poi punita».
È una cosa che gli scienziati chiamano plasticità: le connessioni tra i neuroni cambiano col tempo, con le esperienze ma anche con le terapie, sia con le psicoterapie sia con i farmaci. Quindi la situazione di Stefania ha margini di correzione, dicono i neuro scienziati, ed è giusto che alla diabolica si offra la possibilità di essere curata. «Dopo sarà anche in grado di prendere coscienza del disvalore sociale delle sue azioni», chiosa Pietrini.
… Non è nemmeno il primo tribunale in Italia in cui siano arrivate le prove neuroscientifiche: è almeno il terzo, e in tutti e tre i casi il giudice ha trovato assolutamente ovvio che andassero considerate. La differenza è che nel caso di Stefania questi erano periti della difesa. Ma anche qui il giudice ha considerato queste prove le più oggettive possibili. Bene, quanto sono costate? «Le neuroimmagini niente: noi l’abbiamo fatto gratis e l’imputata doveva comunque sottoporsi a una risonanza magnetica cerebrale per una questione clinica sua», spiega Pietrini…
E lei, Stefania, adesso dov’è e come sta? «Si trova a Castiglione delle Stiviere, dove i medici sono bravissimi: giorni fa ha scritto al suo avvocato ringraziandolo, perché sta prendendo coscienza di quel che ha fatto», conclude Pietrini. Il Male incarnato non esiste: la risonanza magnetica nucleare sì.
Daniela Ovadia

Il buio mentale in un’immagine
Intervista a Daniela Ovadia
Daniela Ovadia, giornalista scientifica e membro della International Neuroethics Society,tiene il blog Mente e psiche sul sito internet della rivista Le Scienze. E per scrivere un post di commento si è letta tutto, ma proprio tutto, sul caso della «diabolica» Stefania: perizie, trascrizione del dibattimento in aula, sentenza e relative motivazioni. Alla fine esprime un timore che va al di là dell’aula di tribunale di Como: «la paura che casi di questo tipo possano far passare l’idea che gli scienziati, con una macchina o un’analisi del sangue, siano in grado di leggere il nostro carattere e i nostri difetti».
Ma se nella letteratura scientifica ci sono già centinaia di studi che associano all’aggressività certe variazioni del cervello, o certe varianti geniche, o certe risposte a quei test psicologici, perché non usare questi risultati anche in tribunale?
In realtà non esiste una relazione diretta di causa effetto tra una certa conformazione genetica e il successivo comportamento asociale, né si può quantificare questo rischio, e lo dicono anche i periti. Ma qualcuno potrebbe pensarlo leggendo le cronache spesso superficiali di questa storia. Per quanto riguarda uno dei test utilizzati, si discute molto, negli ambienti scientifici, sulla sua riproducibilità. E sarebbe il caso di discuterne prima di tutto a livello sociale. Che cosa vogliamo fare della scoperte
della scienza sul carattere e il comportamento, specie quando sono ancora oggetto di dibattito tra gli scienziati? Che peso possiamo dare alla biologia e quale all’ambiente? C’è un problema di accettazione sociale delle persone portatrici di un «difetto» biologico e il rischio di aprire a un nuovo lombrosianesimo?
Però le conclusioni dei periti ottenute così sono in accordo con quelle ottenute con i sistemi classici.
Nessuno mette in discussione il fatto che Pietrini e Sartori abbiano svolto una consulenza accurata e precisa, o che le conclusioni siano corrette. È vero: hanno fatto un lavoro decisamente scrupoloso. Ed è vero anche che il sistema classico della perizia psichiatrica è viziato da problemi di riproducibilità e di mancanza di oggettività forse persino peggiori delle tecniche che hanno usato loro. Ma, insomma. Anch’io credo molto nelle potenzialità delle neuroscienze. Però alcune di queste tecniche meriterebbero forse un supplemento di sperimentazione, specie per quel che riguarda il loro valore prognostico.

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