Silvia Bencivelli, che - con il gruppo di giornalisti www.effecinque.org - collabora con “Alias”, il magazine del sabato del “manifesto”, ha curato nel numero del 18 giugno 2011 una doppia pagina dedicata ai sordi e alla loro battaglia perché sia riconosciuta, anche in Italia come in molti altri paesi, la lingua dei segni. Contiene un articolo che dà conto delle rivendicazioni dei non udenti e dell’ottuso dibattito parlamentare corredato dall’intervista a una psicologa della lingua, udente, che spiega di che cosa si tratti con competenza e chiarezza.
Mi è sembrata una bella pagina di giornalismo, anche per la capacità di rispondere in anticipo a curiosità e ad obiezioni del lettore comune. Ho ripreso le immagini dal sito http://www.lissubito.com/ , ove si possono trovare notizie fresche su questa battaglia di civiltà. (S.L.L.)
Ma come dobbiamo dirlo
di Silvia Bencivelli
C’è tutto. Campanacci, sirene, fischietti. Striscioni e magliette con le scritte. Bambini che giocano per terra e altri che sorridono, ti danno un volantino e corrono via. Una piccola piccola sulle spalle del papà che si guarda intorno imbronciata e uno con la faccia colorata che si intrufola tra le gambe degli adulti. Tanti ragazzi, gruppi di vecchietti, una tipa con le maniche arrotolate, la sigaretta in bocca e lo sguardo incazzato. C’è tutto, come in tutte le manifestazioni che si rispettino, e soprattutto c’è un gran fracasso. Ma non si sente un grido. Perché gli slogan, i sordi, li urlano con le mani.
Li trovi davanti a Montecitorio o nel traffico del centro di Roma, direzione piazza Navona, oppure, a gruppi più piccoli, sotto alle prefetture di mezza Italia. Stanno protestando fragorosamente perché vogliono che la lingua dei segni italiana (o Lis) sia riconosciuta anche dalla politica, visto che la scienza lo ha fatto già 30 anni fa. Perché c’è un disegno di legge che dal 2009 è in discussione in Parlamento e, proprio adesso che sembrava essere arrivato il momento della sua approvazione
definitiva, alla Camera qualcuno lo ha bloccato. Sembra un po’ la storia della legge contro l’omofobia. Anche qui c’è una minoranza tutt’altro che silenziosa che cerca di farsi ascoltare e soprattutto di farsi rispettare, e anche qui c’è un muro di ignoranza e paura che impedisce al nostro Paese di comportarsi come tutti gli altri.
«Il fatto che noi segniamo, che parliamo con le mani, non toglie niente a voi udenti mentre a noi dà
un’opportunità in più», spiega, a parole, Violante Nonno, che è sorda da quando è bambina e tre anni fa ha deciso di cominciare a studiare la Lis. Nel frattempo, ha frequentato le scuole pubbliche ordinarie, si è laureata in Conservazione dei beni culturali e oggi fa la guida ai Musei Vaticani. «Con il metodo orale io sono entrata nel mondo degli udenti, ma loro non sono mai entrati nel mio. Imparare la Lis perciò è stata per me una grande ricchezza, perché mi ha finalmente permesso di conoscere un mondo che ha la mia sensibilità e che è davvero mio».
È ovvio che c’è bisogno di una lingua per tutto questo: «Noi segniamo da sempre ed è così che parliamo», incalza Valentina Foa, che fa la psicologa e segna con un certo trasporto, mentre un interprete trasforma quei gesti in parole per le nostre orecchie. «Abbiamo una grammatica, una sintassi: non siamo mimi. Mentre parlo con le mani, dentro di me sento che sto usando una lingua per comunicare con te». E funziona, sì. «Noi parliamo anche l’italiano, lo scriviamo, lo leggiamo e non vogliamo impedire a nessuno di usare un approccio oralista coi bambini sordi». Sono intere comunità, famiglie intere, gruppi di amici che segnano e così chiacchierano, dialogano, ridono, si emozionano e organizzano manifestazioni sotto a Montecitorio. È ovvio che c’è bisogno di una lingua. «Ed è per questo che vogliamo essere riconosciuti come bilingui».
Però: se è ovvio che c’è bisogno di una lingua, è un po’ meno ovvio che ci sia bisogno di una legge per definirla tale. La risposta di Daniele Chiri, che insieme a Valentina Foa fa parte del movimento «Lis subito», è provocatoria, quasi paradossale: «Prova a pensare se ti dicessero che da oggi l’italiano non è più una lingua. Che non si può parlare agli sportelli pubblici, in ospedale, a scuola. Che non esiste proprio. Riesci a immaginartelo? Siamo settantamila sordi segnanti solo in Italia: che cosa parliamo, se non una lingua?». Per questo oggi, ieri, e se serve anche domani scendono in piazza coi loro campanacci. Poi i campanacci per suonarli basta sbatterli e ai sordi il loro suono non dà nessun fastidio: «facciamo tutto questo rumore per voi, perché sennò voi non ci ascoltate. È il nostro modo di urlare. E adesso stiamo urlando per farci sentire dai parlamentari: sono loro i veri sordi, sono loro che non vogliono sentire».
A marzo il disegno di legge è stato approvato dal Senato, in commissione Affari costituzionali, all’unanimità. Poi è arrivato alla Camera, in commissione Affari sociali e lì si è fermato. Sembra un po’ la storia della legge antiomofobia, dicevamo, e infatti anche qui c’è l’onorevole Binetti che si alza e dice: non ho niente contro i sordi, ma sarebbe bene che imparassero a parlare con la bocca come facciamo noi. Non solo: quella non è una lingua, ma è un linguaggio gestuale, al più una tecnica comunicativa, e non va incoraggiata. A seguire, una levata di scudi bipartisan, a difendere la lingua parlata dal gravissimo rischio che i segni la possano mettere in pericolo: parlamentari di destra e di sinistra (tutti udenti) uniti nel dire che il fatto che la scienza dica che la Lis è una vera
lingua è irrilevante. Nel nostro Paese i sordi si devono adeguare.
Ma qual è il problema? Perché questo accanimento? Nel caso dell’omofobia, con un certo sforzo di
fantasia, si può capire quale sia il problema di chi rifiuta la legge: l’omofobia stessa, per cui è bene
che l’omosessualità non si veda, non si senta, che non esista proprio. Ma nel caso della lingua dei segni perché c’è questa chiusura? «Qualcuno teme che la Lis possa uccidere la parola, perché se segni troppo, pensano, poi va a finire che non parli – spiega Daniele Chiri - Ma guarda l’interpete che sta segnando con me per poi parlare con te: ti sembra che i segni gli impediscano di parlare? E dimmi, tu che lo senti: sta parlando italiano o sbaglio? Sono barriere mentali, perché questi pensano che una lingua debba passare necessariamente attraverso il canale acustico – vocale e che non possa essere visiva: non accettano le diversità, non riescono ad allontanarsi da quello che considerano normale». Mentre la lingua può passare anche dagli occhi e riconoscerlo, per i sordi, significa accettare pienamente anche la loro cittadinanza, oltre che garantire diritti che fino ad oggi sono parzialmente negati come quello di avere interpreti nei luoghi pubblici.
C’è però chi dice (e tra loro anche alcuni sordi educati solo con l’approccio oralista) che la lingua dei segni crei un ghetto, che isoli i sordi dal resto della società. E in effetti, a guardarli riuniti in un rumoroso sit-in in cui chi non agita campanacci muove le mani per parlare, si può capire che qualche udente possa essere assalito dalla sensazione di essere escluso.
«Ma no, al contrario: nessun ghetto – rassicura Violante Nonno – attraverso il riconoscimento della Lis ci sarà più integrazione, ci saranno più servizi per i sordi e i sordi parteciperanno di più anche al vostro mondo. Così avranno più visibilità e a voi piano piano passerà la paura. Uno spettacolo come questo, un assembramento di sordi segnanti, diventerà normale ». Proprio come per l’omofobia: deve essere che alle minoranze si rimprovera d’ufficio la creazione di propri ghetti, anziché pensare a includerle e a renderle parte normale del paesaggio. «Chiediamo di poter vivere senza dover rinunciare a niente. Non chiediamo altro. Non siamo preoccupati di perdere la nostra lingua: i sordi la usano da secoli e noi continueremo a parlarla anche senza riconoscimento di legge.
Chiediamo solo che ci venga riconosciuta la Lis come lingua, perché solo così possiamo essere riconosciuti come cittadini italiani che comunicano anche in quella lingua», chiosa Valentina Foa. In effetti, a guardar bene, si scopre che molti degli altri Paesi europei ed extraeuropei riconoscono ciascuno la propria lingua dei segni (già: non esiste una lingua dei segni universale, come per le lingue parlate ogni comunità ha la sua), in ottemperanza a due risoluzioni del Parlamento europeo che risalgono al 1988 e al 1998. Ed esiste una convenzione delle Nazioni Unite del 2007, ratificata anche dall’Italia nel 2009, che prevede che gli Stati sostengano le proprie lingue dei segni.
Siamo l’unico Paese al mondo in cui si scende in piazza per difendere una lingua. Per questo ai sordi di casa nostra sta arrivando la solidarietà delle comunità di sordi di mezzo mondo. Intanto qui, questa piccola minoranza rumorosa, agita i suoi campanacci, alza le mani e chiede di parlare.
L’INTERVISTA
Parlare di tutto con le mani
di S.B.
Diciamoci la verità: è bella da vedere la lingua dei segni. A volte è quasi buffa, con la sua esasperazione delle espressioni facciali. Ma a chi ci sente bene e parla solo con la bocca fa strano pensare che coi segni si riesca davvero a dire tutto quello che si vuole. Strano.
«D’accordo, è vero, la Lis ha un vocabolario più ristretto rispetto all’italiano, ma è ovvio che sia così, dato che si tratta di una minoranza linguistica. Però questo non significa che sia una lingua più povera. Anche perché la ricchezza di una lingua non si misura mica dal numero delle sue parole!». Elena Tomasuolo è psicologa e psicoterapeuta specializzata in sordità, collabora con l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr di Roma ed è interprete Lis. Con la lingua dei segni,
sostiene, si può dire proprio tutto: «un tempo facevo l’interprete all’università e mi trovavo a tradurre lezioni di filosofia, di matematica, di antropologia... Oggi la uso anche per la psicoterapia: non so se mi spiego!».
Ma perché dite che è una lingua? Che cos’è che la rende tale?
La definizione di Ferdinand de Saussure, il fondatore della linguistica moderna, dice che la lingua è il potenziale innato dell’uomo di produrre il linguaggio e non dice che deve avvenire necessariamente attraversi il canale acustico – vocale. La Lis per noi è una lingua che semplicemente viaggia attraverso il canale visivo–gestuale, che nelle persone sorde è integro.
Come è nata la lingua dei segni?
Le lingue dei segni sono nate spontaneamente nelle varie comunità di sordi sparsi nel mondo, come le lingue vocali sono nate spontaneamente proprio per il bisogno innato dell’uomo di comunicare. Nessuno si è seduto al tavolino e si è inventato le lingue dei segni, come nessuno si è seduto al tavolino e si è inventato le lingue vocali. I ricercatori di tutto il mondo non hanno fatto altro che studiare le lingue dei segni che però già esistevano.
Ma attenzione: la Lis è una lingua a sé ed è indipendente, non è una traduzione gestuale dell’Italiano. Come tantissime altre lingue vocali al mondo, non ha una forma scritta cioè è una lingua solo orale. Le persone sorde quindi sono bilingui: conoscono sia la Lis che l’italiano e, quando scrivono, usano la lingua nazionale scritta d’appartenenza, nel nostro caso l’italiano.
Anche nella Lis, come nelle lingue parlate, esistono accenti o varianti locali?
Certo. È una lingua a tutti gli effetti per cui da città a città ci possono essere alcune varianti. Se vedo una persona segnare, posso anche dirti da qualche regione proviene. Ma come per la lingua parlata, nonostante le varianti, i segnanti italiani poi parlano tutti la Lis e si capiscono benissimo anche se vengono da città diverse, come un piemontese capisce un siciliano.
Come si insegna e come si impara la Lis?
I bambini sordi figli di sordi imparano la Lis dai genitori esattamente negli stessi modi e tempi in cui i bambini udenti imparano la lingua vocale. I bambini sordi figli di genitori udenti la imparano dal contatto con altri sordi segnanti. Noi udenti la impariamo facendo un corso e studiando. Ci sono tantissimi libri per imparare la Lis, soprattutto libri di teoria (molti meno di pratica). I nostri docenti di Lis sono sordi, ma insomma: anche quando frequentiamo un corso d’inglese il nostro docente è quasi sempre madrelingua inglese, no?! E come per l’inglese, il modo migliore per impararla davvero è avere tanti amici sordi con cui chiacchierare
in segni.
Negli altri Paesi come funziona? Le altre lingue dei segni sono riconosciute come lingua negli
altri Stati occidentali?
In tantissimi altri Paesi europei e mondiali le lingue dei segni sono riconosciute da diversi anni ed è per questo che il caso dell’Italia ha suscitato nella comunità sorda internazionale moltissimo interesse, tanto da farci avere lettere e messaggi di supporto, sostenute anche da numerose manifestazioni davanti alle tante ambasciate italiane sparse per il mondo.
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