9.11.11

Blaise Cendrars,"Prosa del Transiberiano e della piccola Jehanne di Francia" (B.Cendrars)

“Posto” qui la celebre Prose du Transsibérien di Cendrars. La traduzione è mia e la si ritrova nel mio libretto Il secolo morente, ovvero la fine delle lezioni, Giada, 2000.
http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/11/la-prosa-del-transiberiano-e-il-viaggio.html  
(S.L.L.)
Amedeo Modigliani, Ritratto di Blaise Cendrars
Allora ero nella mia adolescenza
Avevo appena sedici anni e non mi ricordavo più della mia infanzia
Ero lontano dal luogo di nascita, a 16.000 leghe di distanza
Ero a Mosca, nella città dei mille e tre campanili e delle sette stazioni
E di sette stazioni e mille e tre torri non ne avevo ancora abbastanza
Perché la mia adolescenza era così ardente e folle
Che il mio cuore, volta a volta, bruciava come il tempio di Efeso o la Piazza Rossa di Mosca
Quando il sole tramonta.
E i miei occhi illuminavano antiche vie
Ed ero già così cattivo poeta
Che non sapevo andare fino in fondo.

Il Cremlino era come una immensa torta tartara
Croccante d’oro,
Con le grandi mandorle delle cattedrali tutte bianche
E l’oro mielato delle campane...
Un vecchio monaco mi leggeva la leggenda di Novgorod
Io avevo sete
E decifravo caratteri cuneiformi
Poi di colpo i colombi del Santo Spirito volarono via sulla piazza
E anche le mie mani presero il volo, con fremiti d’albatros
Ecco, erano gli ultimi ricordi dell’ultimo giorno
Di ogni ultimo viaggio
E del mare.

Eppure ero un poeta assai cattivo
E non sapevo andare fino in fondo
Avevo fame
E tutti i giorni e tutte le donne nei caffè e tutti i bicchieri
Avrei voluto bere e fracassare
E tutte le vetrine e tutte le strade
E tutte le case e tutte le vite
E tutte le ruote delle carrozze che giravano in turbine sui selciati dissestati
Avrei voluto fondere in una fornace di spade
E avrei voluto tritare tutte le ossa
E strappare tutte le lingue
E liquefare tutti quei grandi corpi strani e nudi sotto gli abiti che mi fanno impazzire...
Io presentivo l’avvento del grande Cristo rosso della rivoluzione russa...
E il sole era una piaga purulenta
Che si apriva come un braciere.

Allora ero nella mia adolescenza
Appena sedici anni e non mi rammentavo più l’infanzia
Ero a Mosca ove volevo nutrirmi di fiamme
E non ne avevo abbastanza di torri e stazioni che mi costellavano gli occhi
In Siberia il cannone tuonava, era la guerra
La fame il freddo la peste il colera
E le acque limacciose dell’Amur carreggiavano milioni di carogne
Da tutte le stazioni vedevo partire tutti gli ultimi treni
Nessuno poteva più partire non si rilasciavano biglietti
E i soldati che andavano via avrebbero voluto restare...
Un vecchio monaco mi cantava la leggenda di Novgorod.
Io, il cattivo poeta che non voleva andare in alcun posto, io potevo andare dappertutto
E anche i mercanti avevano ancora abbastanza denaro
Per tentare di andare a far fortuna.
Il loro treno partiva il venerdì mattina.
Si diceva che c’erano troppi morti.
Uno trasportava cento casse di sveglie e cucù della Foresta Nera
Un altro scatole per cappelli, cilindri e un assortimento di cavatappi di Sheffield
Un altro bare di Malmoe piene di scatole di conserva e sardine all’olio
E poi c’erano molte donne
Donne con gl’inguini da affittare che potevano anche servire
Bare
Erano tutte autorizzate
Si diceva che c’erano molti morti laggiù
Viaggiavano con la riduzione
E avevano un conto corrente in banca.

Ora, un venerdì mattina, venne finalmente il mio turno
Si era in dicembre
E partivo anch’io per accompagnare il viaggiatore di bigiotteria che si recava a Kharbin
Avevamo due scompartimenti nell’espresso e 34 casse di gioielleria di Pforzheim
Cianfrusaglie tedesche “Made in Germany”
Mi aveva vestito a nuovo, e salendo sul treno avevo perso un bottone
- Me ne ricordo, me ne ricordo, ci ho pensato dopo, ricorrentemente -
Dormivo sulle casse ed ero tutto felice di poter giocare con la browning nichelata che ugualmente mi
aveva donato
Ero tanto felice irresponsabile
Credevo di giocare ai briganti
Avevamo rubato il tesoro di Golconda
E andavamo a nasconderlo nell’altra faccia del mondo grazie al transiberiano
Io dovevo difenderlo contro i ladri dell’Ural che avevano attaccato i saltimbanchi di Giulio Verne
Contro i cungusi, i boxer della Cina
Ali Baba e i quaranta ladroni
E i piccoli arrabbiati mongoli del Gran Lama
E i fedeli del terribile Vecchio della montagna
E soprattutto, contro i più moderni
I topi d’albergo
E gli specialisti di espressi internazionali.

Eppure, eppure
Ero triste come un bambino
Il “midollo ferrovia” degli psichiatri americani
I rumori delle porte delle voci degli assi che stridevano sui binari congelati
Il fiorino d’oro del mio avvenire
La mia browning il piano e le bestemmie dei giocatori di carte nel compartimento a fianco
La stupefacente presenza di Jeanne
L’uomo dagli occhiali blu che passeggiava nervoso nel corridoio e passando mi guardava
Fruscii di donne
E il fischio del vapore
E l’eterno rumore delle ruote impazzite nelle rotaie del cielo
I vetri sono gelati
Innaturalmente!
E dietro, le pianure siberiane il cielo basso e le grandi ombre dei Taciturni che salgono e scendono
Sono sdraiato su un plaid
Variopinto
Come la mia vita
E la mia vita non ha più calore di questo scialle
Scozzese
E l’Europa tutta intera scorta al tagliavento di un espresso che corre a tutto vapore
Non è più ricca della mia vita
La mia povera vita
Questo scialle
Sfilacciato su casse piene d’oro
Sulle quali rotolo
Che sogno
Che fumo
E perfino la fiamma dell’universo
È un povero pensiero...

Dal fondo del mio cuore vengono su le lacrime
Se penso, Amore, alla mia compagna;
Non è che una bambina che ho trovato così
Pallida, immacolata, nel fondo di un bordello.
Non è che una bambina, bionda, ridente e triste,
Lei non sorride mai e non piange
Ma nel fondo dei suoi occhi, se ve li lascia bere,
Tremola un dolce giglio, d’argento, il fiore del poeta.

È dolce e muta, senz’ombra di rimprovero,
Ha un lungo trasalire al vostro approccio;
Ma quando io vado a lei, di qua, di là, di festa,
Ella fa un passo, poi chiude gli occhi – e fa un passo.
Perché è lei il mio amore, e le altre donne
non hanno che degli ori su grandi corpi in fiamme,
La mia povera amica è così abbandonata
È tutta nuda, senza corpo – è troppo povera.

Non è che un bianco fiore, gracile,
Il fiore del poeta, un povero giglio d’argento,
Tutto freddo, tutto solo, e già così appassito
Che mi viene da piangere se penso al suo cuore.
E questa notte somiglia a centomila altre
Quando un treno fila nella notte
- Cadono le comete -
E l’uomo e la donna, anche giovani, si divertono a fare l’amore

Il cielo è come la tenda strappata di un povero circo in un piccolo villaggio di pescatori
Nelle Fiandre
Il sole è una lampada ad olio fumosa
E sul più alto di un trapezio una donna fa la luna
Il clarinetto, il trombone, un flauto acido e un tamburo rotto
Ed ecco la mia culla
La mia culla
Era sempre vicina al piano quando mia madre come madame Bovary provava le sonate di Beethoven
Ho passato la mia infanzia nei giardini pensili di Babilonia
Ho marinato la scuola in stazione davanti ai treni in partenza
Ora faccio correre tutti i treni dietro di me
Basilea - Tumbuctù
Ho anche giocato alle corse ad Auteuil e Longchamp
Parigi - New York
Adesso, ho fatto correre tutti i treni lungo tutto il corso della mia vita
Madrid - Stoccolma
E ho perduto tutte le scommesse
Ormai c’è solo la Patagonia, la Patagonia, che si conviene alle mie tristezze immense
La Patagonia e un viaggio nei mari del Sud
Sono in viaggio
Sono sempre stato in viaggio
Sono in viaggio con la piccola Jehanne di Francia
Il treno fa un salto mortale e ricade su tutte le sue ruote
Il treno ricade sulle sue ruote
Il treno ricade sempre su tutte le sue ruote

“Di’, Blaise, siamo molto lontani da Montmartre?”

Siamo lontani , Jeanne, tu sei in viaggio da sette giorni
Tu sei lontana da Montmartre, dalla Collina che ti ha nutrito dal Sacro Cuore contro il quale ti sei rannicchiata
E’ scomparsa Parigi e la sua enorme fiammata
Non ci sono che ceneri, in continuo
La pioggia che cade
La melma che cresce
La Siberia che ruota
Le pesanti tovaglie di neve che risalgono su
Il campanello della follia che tremola come un ultimo desiderio nell’aria azzurrognola
Il treno palpita al cuore degli orizzonti plumbei
E il tuo dolore sogghigna...

“Di’, Blaise, siamo molto lontani da Montmartre?”

Le inquietudini
Dimentica le inquietudini
Tutte le stazioni piene di crepe oblique sul tracciato
I fili telegrafici ai quali sono sospese
I pali grinzosi che gesticolano e le strangolano
Il mondo si tende si allunga si ritira come una fisarmonica che una mano sadica tortura
Nelle lacerazioni del cielo, le locomotive infuriate
Fuggono via
E nei fori
Le ruote vertiginose le bocche le voci
E i cani della malora che abbaiano alle nostre calcagna
I demoni sono scatenati
Ferraglie
E’ tutto un accordo sbagliato
Il brun-run-run delle ruote
Urti
Rinculi
Noi siamo un temporale sotto il cranio di un sordo...

“Di’, Blaise, siamo molto lontani da Montmartre?”

Ma sì, tu m’innervosisci, tu lo sai bene, siamo ben lontani
La follia surriscaldata urla nella locomotiva
La peste il colera si levano come braci ardenti sul nostro cammino
Noi scompariamo nella guerra nel profondo di un tunnel
La fame, la puttana, si aggrappa alle nuvole in sbandata
E defeca battaglie in mucchi fetidi di morti
Fai come lei, fai il tuo mestiere ...

“Di’, Blaise, siamo molto lontani da Montmartre?”

Sì, lo siamo, lo siamo
Tutti i capri espiatori sono crepati in questo deserto
Senti i sonagli di questo gregge rognoso Tomsk
Celjabinsk Kansk Obi Tajset Verkné Udinsk Kurgan Samara Penza -Tulun
La morte in Manciuria
E’ il nostro approdo è la nostra ultima tana
Questo viaggio è terribile
Ieri mattina
Ivan Ulic
Aveva i capelli bianchi
E Kolia Nicolai Ivanovic si rosicchia le dita da quindici giorni
Fai come loro la Morte la Fame fa’ il tuo mestiere
Questo costa cento soldi, in transiberiano, questo costa cento rubli
Hanno la febbre i sedili e rosseggia sotto la tavola
Il diavolo è al piano
Le sue dita nodose eccitano tutte le donne
La Natura
Le Streghe
Fa’ il tuo mestiere
Fino a Karbin...

“Dì, Blaise, siamo molto lontani da Montmartre?”

Basta... dammi pace...  lasciami tranquillo
Tu hai le anche ad angolo
Il tuo ventre è agro ed hai lo scolo
E’ tutto quello che Parigi ti ha messo in grembo
E’ anche un po’ d’anima... perché tu sei disgraziata
Ho pietà ho pietà vieni verso di me sul mio cuore
Le ruote sono i mulini a vento del paese di Cuccagna
E i mulini a vento sono le stampelle che un mendicante fa volteggiare
Noi siamo i mutilati dello spazio
Noi rotoliamo senza gambe sulle nostre quattro piaghe
Ci hanno raschiato le ali
Le ali dei nostri sette peccati
E tutti i treni sono le trottoline del diavolo
Cortile
Il mondo moderno
La velocità non può farci nulla
Il mondo moderno
I lontani sono davvero troppo lontano
E al termine del viaggio è terribile essere un uomo con una donna...

“Blaise, dimmi, siamo molto lontani da Montmartre?”

Ho pietà ho pietà vieni verso me voglio raccontarti  una storia
Vieni nel mio letto
Vieni  sul mio cuore
Voglio raccontarti una storia

Oh vieni! Vieni!

Alle Figi regna l’eterna primavera
L’indolenza
L’amore sfinisce le coppie in mezzo all’erba alta  e la calda sifilide vaga sotto i banani
Vieni nelle isole perdute del Pacifico
Esse hanno nome dalla Fenice, dalle Marchese
Borneo e Giava
E Celebès a forma di gatto.

Non possiamo andare in Giappone
Vieni in Messico!
Sugli altipiani fioriscono i tulipani
Le liane tentacolari sono la capigliatura del sole
Si direbbe la tavolozza e il pennello di un pittore
Colori che stordiscono come dei gong
Rousseau c’è stato
Ci ha abbagliato la sua vita
E’ il paese degli uccelli
L’uccello del paradiso, l’uccello-lira
Il tucano, l’uccello beffardo
E il colibrì fa il nido nel cuore dei gigli neri
Vieni!
Noi ci ameremo all’interno delle rovine maestose di un tempio azteco
Tu sarai il mio idolo
Un idolo variopinto infantile un po’ laido e bizzarramente strano
Oh vieni!

Se vuoi andremo in aeroplano e sorvoleremo il paese dei mille laghi
Lì le notti sono smisuratamente lunghe
L’antenato preistorico avrà paura del mio motore
Atterrerò
E costruirò un hangar per il mio aereo con le ossa dei fossili di mammut
Il fuoco primitivo riscalderà il nostro povero amore
Samovar
E ci ameremo assai borghesemente vicino al polo
Oh vieni!

Jeanne, Jeannette, ninì, ninon, zinnon
Mimì, miamor, mia pupa, mio Perù
Tacchinetta Ninnò
Carotina mio popò
Sciusciù
Coremio cocotte
Cara capretta
Mio vizietto
Sorchetta
Cucù
Lei dorme

Lei dorme
E di tutte le ore del mondo non ne ha ingoiata una sola
Tutti i volti intravisti nelle stazioni
Tutti gli orologi
L’ora di Parigi l’ora di Berlino l’ora di San Pietroburgo e l’ora di tutte le stazioni
E a Ufa il viso sanguinante del cannoniere
E il quadrante stupidamente luminoso di Grodno
E il perpetuo anticipo del treno
Ogni mattina si mettono gli orologi in orario
Il treno è in anticipo e il sole ritarda
Non si conclude nulla, io sento le campane sonore
Il gran batacchio di Notre Dame
La campana stridula del Louvre che suonò la notte di San Bartolomeo
I carillon arrugginiti di Bruges-la-Morta
Le suonerie elettriche della biblioteca di New York
Le campagne di Venezia
E le campane di Mosca, l’orologio della Porta Rossa che mi contava le ore quando ero in un ufficio
E i miei ricordi
Il treno tuona sugli scambi
Il treno corre
Un grammofono biascica una marcia tzigana
E il mondo, come l’orologio del quartiere ebreo di Praga, gira perdutamente all’incontrario.

Sfoglia la rosa dei venti
Ecco che rumoreggiano le tempeste scatenate
I treni corrono in vortice sulle reti aggrovigliate
Trottoline diaboliche
Ci sono treni che non s’incontrano mai
Altri si perdono per strada
I capistazione giocano a scacchi
Tric trac
Biliardo
Carambole
Parabole
La ferrovia è una nuova geometria
Siracusa
Archimede
E i soldati che lo sgozzarono
E le galere
E i vascelli
E i congegni prodigiosi che inventò
E tutte le stragi
La storia antica
La storia moderna
I vortici
I naufragi
Anche quello del Titanic che ho letto sul giornale
Tante associazioni d’immagini che non posso sviluppare nei miei versi
Perché sono ancora un poeta assai cattivo
Perché l’universo mi  sommerge
Perché ho trascurato di assicurarmi contro gl’incidenti ferroviari
Perché io non so andare fino in fondo
E ho paura.

Ho paura
Io non so andare fino in fondo
Come il mio amico Chagall potrei fare una serie di quadri dementi
Ma in viaggio non ho preso appunti
“Perdonami la mia ignoranza
“Perdonami di non conoscere più l’antico gioco dei versi”
Come dice Guillaume Apollinaire
Tutto quel che riguarda la guerra lo si può leggere nelle Memorie di Kuropaktin
O nei giornali giapponesi che sono così crudelmente illustrati
A che pro documentarmi
Io m’abbandono
Ai soprassalti della mia memoria...

A partire da Irkusk il viaggio divenne molto troppo lento
Molto troppo lungo
Noi eravamo nel primo treno che aggirava il lago Baikal
Si era ornata la locomotiva di drappi e di lampioni
E noi avevamo lasciato la stazione agli accenti tristi dell’inno allo Zar
Se fossi pittore riverserei molto rosso molto giallo sulla fine di questo viaggio
Perché io credo bene che eravamo tutti un po’ folli
E che un delirio immenso insanguinava le facce snervate dei miei compagni di viaggio
Come ci avvicinavamo alla Mongolia,
Che sbuffava come un incendio
Il treno aveva rallentato la sua andatura
E io percepivo nello stridore perpetuo delle ruote
Gli accenti folli e i singhiozzi
Di un’eterna liturgia

Io ho veduto
Io ho veduto i treni silenziosi i treni neri che ritornavano dall’Estremo Oriente e che passavano come fantasmi
E il mio occhio, come il fanale posteriore, corre ancora dietro quei treni
A Talga 100.000 feriti agonizzavano per mancanza di cure
Ho visitato gli ospedali di Krasnoiarsk
E a Khilok abbiamo incrociato un lungo convoglio di soldati impazziti
Io ho veduto nei lazzaretti piaghe spalancate ferite che sanguinavano a pieno regime
E le membra amputate danzavano intorno o fuggivano via nell’aria roca
L’incendio era su tutte le facce in tutti i cuori
Dita idiote tambureggiavano su tutti i vetri
E sotto la pressione della paura gli sguardi scoppiavano come ascessi
In tutte le stazioni si bruciavano tutti i vagoni
Ed io ho veduto
Io ho veduto treni di 60 locomotive che fuggivano via a tutto vapore incalzate dagli orizzonti in orgasmo
    e righe di corvi  che s’involavano disperatamente dietro
Sparire
Nella direzione Di Port Arthur.

A Cita avemmo qualche giorno di respiro
Fermata di cinque giorni visto l’ingombro della strada
Li passammo dal signor Iankelevic che voleva darmi la sua unica figlia in matrimonio
Poi il treno ripartì.
Ora ero io che avevo preso posto al piano ed avevo mal di denti
Rivedo quando voglio quell’interno così tranquillo il magazzino del padre e gli occhi della figlia che la sera
    veniva nel mio letto
Mussorsky
E i lieder di Hugo Wolf
E le sabbie del Gobi
E a Kailar una carovana di cammelli bianchi
Credo bene che ero ubriaco per più di 500 chilometri
Ma ero al piano ed è tutto quello che vidi
Quando si viaggia si dovrebbero chiudere gli occhi
Dormire
Avrei tanto voluto dormire
Io riconosco tutti i paesi ad occhi chiusi dal loro odore
E riconosco tutti i treni dal rumore che fanno
I treni d’Europa sono a quattro tempi mentre quelli d’Asia sono a cinque o sette tempi
Altri camminano in sordina sono balie
E ce ne sono che nel rumore monotono delle ruote mi ricordano la prosa pesante di Maeterlink
Ho  decifrato  tutti i testi  confusi delle ruote e ho riunito gli elementi  sparsi  di   una   violenta
    bellezza
Che io possiedo
E che mi spinge.

Tsitsica e Kharbin
Non vado più lontano
E’ l’ultima stazione
Scendevo a Kharbin quando avevano appena finito di dare alle fiamme gli uffici della Croce Rossa.

O Parigi
Grande caloroso focolare con i tizzoni incrociati delle tue strade e le tue vecchie case che si protendono giù e
    si riscaldano
Come nonnette
Ed ecco manifesti, di rosso di verde multicolori come il mio passato breve di giallo
Giallo il fiero colore dei romanzi della  Francia all’estero.
Io amo confondermi nelle grandi città agli autobus in marcia
Quelli della linea Saint-Germain - Montmartre mi portano all’assalto della Collina
I motori mugghiano come i tori d’oro
Le vacche del crepuscolo brucano il Sacro Cuore
O Parigi
Stazione centrale approdo delle volontà crocevia delle inquietudini
Solo i mercanti di colore hanno ancora un po’ di luce alla loro porta
La Compagnia Internazionale dei Wagons-Lits e dei Grandi Espressi Europei mi ha inviato i suoi prospetti
E’ la più bella chiesa del mondo
Ho degli amici che mi circondano come parapetti
Hanno paura quando parto che non ritorni più
Tutte le donne che ho incontrato si tendono agli orizzonti
Con i gesti imploranti e gli sguardi tristi dei semafori sotto la pioggia
Bella, Agnese, Caterina e la madre di mio figlio in Italia
E quella, la madre del mio amore in America
Ci sono gridi di sirena che mi straziano l’anima
Laggiù in Manciuria un ventre ancora si contrae come in un parto
Io vorrei
Io vorrei non aver mai fatto i miei viaggi
Questa sera un grande amore mi tormenta
E mio malgrado penso alla piccola Jehanne di Francia
E’ durante una sera di tristezza che ho scritto questo poema in suo onore
Jeanne
La piccola prostituita
Sono triste sono triste
Andrò al Lapin agile per ricordarmi della mia giovinezza perduta
E bere bicchierini
Poi rientrerò solo

Parigi

Città della Torre unica della grande Forca e della Ruota.
Parigi,  1913

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