14.12.11

Estate 1939: l’Europa verso la guerra. Hitler non improvvisa (di Nicola Tranfaglia)

Su “la Repubblica” di luglio-agosto 1989 una serie di paginoni fu dedicata a un imminente anniversario, quello del 1° settembre 1939, data convenzionale dell’inizio della seconda guerra mondiale. Ad una ricostruzione sintetica dell’anno che trascorre dalla conferenza di Monaco (ottobre 1938) al giorno dell’aggressione della Germania nazista alla Polonia sono dedicati alcuni articoli di Nicola Tranfaglia, costruiti intorno ad alcuni nodi problematici, cui si accompagnano interviste a storici europei, in prevalenza tedeschi.
“Posto” qui un ampio stralcio dal primo degli articoli di Tranfaglia, del 28 luglio 1989. Recupererò in seguito altri materiali da rammentare. L’impressione è che – nonostante le nuove ricerche e tanti tentativi di revisione – l’impianto del discorso funzioni e che l’ideologica tesi di Nolte, del nazismo e della guerra come risposta all’inaccettabile totalitarismo comunista, non trovi conferma nei fatti documentati e documentabili. (S.L.L.)  
A mano a mano che gli studi storici su Hitler, sul Terzo Reich e sulla seconda guerra mondiale procedono con nuove scoperte documentarie, due luoghi comuni, che hanno tenuto a lungo il campo nell'opinione pubblica internazionale, appaiono destinati a crollare.
Il primo riguarda la concezione del mondo e la strategia politica del capo della Germania nazista. Si è scritto a lungo, e ancora si continua a scrivere, che Hitler fu prima di tutto un opportunista e un tattico assetato di dominio, che procedeva per tentativi e sulla base degli errori altrui, sempre alla ricerca di strumenti per la costruzione di uno Stato totalitario e senza confini. In realtà questo è quello che emergeva dalle testimonianze raccolte al processo di Norimberga, un materiale, si badi bene, di straordinaria importanza, che hanno costituito la base per la Storia del Terzo Reich di William Shirer (Einaudi) e di tante altre opere apparse nel primo ventennio successivo alla guerra. Ma quando gli storici hanno potuto leggere il libro scritto dal Fuhrer nel 1928 e mai pubblicato, che completava e precisava le idee già espresse in Mein Kampf, e ricostruire gli scritti e i discorsi del leader nazionalsocialista negli anni Venti e Trenta, hanno dovuto modificare questo punto di vista. Hitler fu senza dubbio un tattico e un opportunista (basta ricordare l'alternanza di discorsi pacifisti e di invettive minacciose che contrassegna il suo atteggiamento dal 1933 al 1939 nei confronti delle potenze europee); ma la sua tattica e il suo opportunismo erano al servizio di una concezione del mondo (o Weltanschauung che dir si voglia) assai precisa, maturata negli anni Venti, e cioè prima della sua conquista del potere, che gli imponeva obiettivi assai chiari.
In primo luogo, l'espansione ad Oriente per l'acquisizione di uno spazio vitale necessario alla grande Germania: la Russia bolscevica, nata dall'intreccio diabolico di ebraismo e comunismo, era destinata a fare le spese di una vera e propria guerra di annientamento che avrebbe eliminato nello stesso tempo la razza ebraica, i sottouomini slavi e la peste bolscevica. Naturalmente, per poter conseguire un simile obiettivo era necessario creare un sistema di alleanze che includeva nei piani di Hitler l'Italia fascista e l'Inghilterra conservatrice. La Francia, che il leader nazista considerava in fase di decadenza avanzata, era il nemico occidentale dei tedeschi e avrebbe dovuto essere assoggettata al dominio del Reich. Se si ha presente questo quadro, tracciato con graduali precisazioni nel decennio 1918-1928 (senza dimenticare l' influenza profonda che gli anni viennesi precedenti alla prima guerra mondiale avevano esercitato sul giovane austriaco e sul suo rabbioso antisemitismo), e lo si confronta con quello che effettivamente successe nella seconda metà degli anni Trenta, bisogna per forza ricredersi a proposito di un'immagine troppo semplice che testimoni e memorialisti tendono a tramandarci di Hitler. Una volta salito al potere nel gennaio 1933 grazie a un'astuta combinazione di pressione militare e terroristica e di successi elettorali, il capo nazista incominciò ad attuare il suo piano politico e militare senza mai deviare dagli obiettivi di fondo: la guerra e l' espansione ad Oriente.
Il secondo luogo comune che ancora circola riguarda il ruolo del razzismo, e dell'antisemitismo in modo particolare, nella dottrina e nella prassi nazista. Anche qui si legge spesso che Hitler non aveva programmato la soluzione finale, che fu la guerra a spingerlo ad attuare l'annientamento degli ebrei e così via. Nulla di più falso. Nel secondo volume di Mein Kampf, cioè in un libro tradotto in tutto il mondo e ristampato decine di volte, l'ex caporale austriaco (eravamo nel 1927) a proposito della sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale scriveva: “Se all' inizio della guerra e durante il suo corso si fossero messi un po' sotto gas venefico un dodici o quindicimila di questi pervertitori ebraici dei popoli, facendo loro subire quel che centinaia di migliaia dei nostri lavoratori tedeschi fra i migliori, provenienti da tutte le categorie e da tutti i mestieri, dovettero subire sui campi di battaglia, allora il sacrificio di milioni di uomini al fronte non sarebbe stato vano”. E dodici anni dopo, il 30 gennaio 1939, dichiarò pubblicamente di fronte al Reichstag:“Voglio essere oggi di nuovo un profeta: se il potere della finanza ebraica dentro e fuori d' Europa dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra, il risultato non sarà certo la bolscevizzazione della terra e con essa la vittoria degli ebrei, ma l'annientamento della razza ebraica in Europa”. Su un terzo aspetto legato al piano nazista, il dibattito è ancora aperto: quand'è che Hitler e il gruppo dirigente nazista presero la decisione di scatenare il conflitto che avrebbe insanguinato per sei anni il mondo intero? Per rispondere a questo interrogativo bisogna, a mio avviso, rifarsi al documento che porta il nome dell' aiutante di Hitler presso la Wehrmacht, maggiore Hossbach, e che è il resoconto della riunione segreta svoltasi nel pomeriggio del 5 novembre 1937 nella Cancelleria del Reich. Con Hitler erano presenti il ministro degli Esteri von Neurath, quello della Guerra Blomberg e i comandanti delle tre armi: von Brauchitsch, Raeder e Goring. In quella riunione ha osservato giustamente Enzo Collotti (La seconda guerra mondiale, Loescher) troviamo la prima enunciazione in termini non soltanto teorici o ideologici ma già operativi del disegno bellico nazista. Secondo il resoconto di Hossbach, il Fuhrer, dopo aver affermato categoricamente che per risolvere la questione tedesca c'è soltanto la via della forza e questa non sarà mai senza rischi, enuncia tre casi possibili sul quando e sul come la Germania entrerà in guerra. Il primo caso contempla il conflitto nel 1943-45: ma molti fattori sconsigliano di aspettare tanto. Nei casi 2 e 3 l'inizio delle ostilità è previsto prima di quella data: la condizione è che la Francia sia assorbita da conflitti interni o dal conflitto con altri Stati. In ogni caso, aggiunge Hitler, se la situazione si volge verso la guerra, il nostro primo obiettivo deve essere quello di sbaragliare simultaneamente Cecoslovacchia e Austria per metterci definitivamente al sicuro da una minaccia alle spalle nel caso di un'eventuale azione verso Occidente. Ma l'attenzione centrale, anche in questo documento, è per la campagna d'Oriente e l'attacco all'Urss, che implica necessariamente quello alla Polonia. Insomma, già alla fine del 1937 il massimo dirigente nazista traccia una linea di svolgimento del conflitto che sarà di fatto quella reale a partire dal 1939. E' difficile, di fronte a testi come quelli che abbiamo citato, continuare a parlare di tattica, di opportunismo, di improvvisazione; bisogna parlare invece assai di più della cecità delle potenze occidentali di fronte al dispiegarsi del piano nazista. E chiedersi quali siano state le motivazioni, le ragioni di quella cecità… 

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