4.12.11

Mussolini a Palazzo Cesaroni (S.L.L.)

Mi dispiace non essere stato presente all’inaugurazione della mostra Arte e patriottismo nell’Umbria del Risorgimento, presentata come contributo del Consiglio regionale ai 150 anni dall’Unità d’Italia. Non tanto per i brevi discorsi che, stando alle cronache, hanno allietato gli astanti, dei vicepresidenti Goracci e Lignani Marchesani che surrogavano Brega ammalato, o della “governatrice” Marini, tutti, a quanto pare, molto di circostanza; ma soprattutto per la parte spettacolare dell’inaugurazione.
Dopo l’esecuzione dell’inno nazionale si esibivano, in costume, i figuranti di Fratta nell’Ottocento (la località poi cambiò il suo nome in Umbertide, in omaggio al principe ereditario, prima che lo stesso, da “Re buono”, salutasse con giubilo il massacro dei popolani milanesi, così attirandosi la vendetta di Bresci). Ma soprattutto c’era la lettura di testi che si volevano emblematici della storia d’Italia.
Mi dicono che, dopo brani di De Sanctis e Tomasi di Lampedusa, l’attore, calvo ed enfatico, abbia pronunciato frasi trasudanti retorica patriottarda. I presenti si interrogavano atterriti; non si sbagliavano: era proprio Mussolini. Poco conta che si tentasse di rimediare con un Pasolini che del “duce” è agli antipodi: la frittata era fatta.
Ne è scaturito – riferiscono - un nervoso dissociarsi di Goracci e un nervoso agitarsi dell’assessore Vinti. Più tardi, il consigliere Galanello, orvietano del Pd, dichiarava ''assolutamente fuori luogo, inappropriata e non condivisibile la scelta della lettura di un brano tratto da un discorso di Mussolini, in una iniziativa di così alto rilievo istituzionale''.
A mio avviso, se non lo zampino, ci deve essere stata l’influenza di Alessandro Campi, che nel suo Mussolini presentava il duce come "l’Arciitaliano". Tesi, del resto, avanzata, con ben altro spessore critico, da Piero Gobetti, il quale, rifiutando l’idea crociana del fascismo come deviazione o parentesi, lo considerava rivelazione dell’Italia a sé stessa. Ma, allora, volendo scegliere un italiano di quel tipo lì, perché non attualizzare ricorrendo ad Alberto Sordi o, magari, a Berlusconi?
Autore delle scelte risulta ufficialmente un comitato scientifico che presiede alla mostra ed è presieduto da Massimo Duranti. Alle lamentele il comitato ha risposto: “Tutto quanto era da mesi sul tavolo della presidenza”. Forse il presidente Brega, in tutt’altre faccende affaccendato…
Un’altra citazione, dopo quelle inaugurali, ha destato attenzione nella esposizione di Palazzo Cesaroni, sulla tabella esplicativa di un'opera in tessuto tricolore (cachemire?). È un pensiero di Cucinelli, il buon padrone, tanto buono che nell’azienda sua - dice - non servono sindacati. Egli è anche filosofo autodidatta. Nella didascalia del tricolore tra l’altro si legge una sua citazione: “Bisogna tornare a credere ai tre grandi ideali che ci hanno affascinato un tempo e che ora vacillano: religione, politica e famiglia”. Qualche remora deve averlo trattenuto dall’usare l’originario “Dio, Patria e Famiglia” così caro alla reazione, Mussolini incluso.
L’imprenditore mecenate (chissà chi e perché ha scelto codesto suo pensiero) prosegue con un vaticinio sulla crisi: “È una crisi che reputo positiva in un'ottica di ri-progettazione dell'umanità. Alla luce delle parole di Sant'Agostino.....questo momento storico è l'opportunità che ci viene data per migliorare. Una primavera dell'umanità che nasce da una presa di coscienza collettiva che porterà l'uomo verso un vero capitalismo etico".
La mostra, insomma, a quanto è dato di vedere, è nata sotto un cattivo segno. Non bastava Benito Mussolini, ci voleva anche Brunello Cucinelli.


"micropolis", novembre 2011

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