2.12.11

Petrarca, Dante e l'angoscia dell'influenza. Nuovi studi in Usa e in Inghilterra.

Giusto di Gand, Petrarca nel suo studio, Palazzo Ducale Urbino
“Petrarca fa mostra di ignorare Dante: scrive al Boccaccio di non provare per quello alcuna invidia, che da giovane ne ha evitato la poesia per non diventarne mero imitatore, e che d'altronde la sua cura non va ora alle cose in volgare, nelle quali colui è supremo, ma a quelle in latino. Tuttavia, sappiamo che lavora costantemente, fino all'ultimo, al Canzoniere volgare, che esso è pieno di echi e riscritture dantesche, che termina con una Canzone alla Vergine (così come l'ultimo canto della Commedia si apre con la Preghiera alla Vergine), e che i Trionfi sono scritti in terza rima. Insomma, Harold Bloom lo definirebbe un caso patente di «angoscia dell'influenza». Ingarbugliato, però, perché non solo psicologico, ma anche metafisico e storico-culturale, come i saggi del presente volume illustrano chiaramente anche nella dialettica che li anima”.
Si apre così l’articolo di Pietro Boitani, dal titolo Dante e Petrarca british style pubblicato il 27 dicembre del 2009 che recensisce una raccolta di saggi di studiosi del Trecento italiano in America e in Inghilterra dal titolo Petrarca & Dante, Anti-Dantism, Metaphysics, Tradition pubblicato a Notre Dame in Indiana (Usa) a cura di Baran’ski e Cachey, due italianisti di grande prestigio in Nordamerica.
Luca Signorelli, Dante, Cappella Nuova del Duomo, Orvieto
Credo che la critica anglofona e Bairani che efficacemente ne sintetizza gli intenti sveli con efficacia l’inganno in cui Petrarca ha tratto a lungo e per larga parte la storiografia letteraria italiana, presentandosi come tutt'altra cosa da Dante, e con lui non confrontabile, come il fondatore di un Umanesimo che non è contro il Medioevo di cui Dante fu il vate, ma va “oltre”.
La demistificazione dell’oltrismo petrarchesco nel libro americano si realizza attraverso una serie di sondaggi: il rapporto dei due con Cavalcanti; il problema dell’altra donna sia in Dante che in Petrarca; l’Ulisse della Commedia che il poeta aretino ammira e venera, ma che Dante ha collocato all’Inferno. Particolarmente interessante dovrebbe essere il saggio che sistematicamente confronta l’ultimo canto del Paradiso e il Trionfo dell’Eternità, cioè quelli che, sono da molti ritenuti gli ultimi versi italiani rispettivamente composti dai due grandi Trecentisti. Uguale la lunghezza (145 versi in quartine), con una serie di corrispondenze tematiche ed espressive (particolarmente rilevante l’immagine del punto in cui trovano unità e stabilità il molteplice e il mutevole), ma con una assai diversa conclusione. Dante contrappone quel punto, “l’istante senza tempo della comprensione trascendente, il lumen gloriae all’intera storia dell’umano desiderio e dell’esplorazione del tempo”, mentre Petrarca termina con la resurrezione di Laura. (S.L.L.)

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