12.1.12

Gli "scaldi"

Su un vecchio ritaglio senza data de "il manifesto" leggo la recensione di Clotilde Izzo di uno dei "Millenni" di Einaudi, Gli scaldi. Poesia cortese d'epoca vichinga, a cura e con introduzione di Ludovica Koch. Trattandosi di una strenna doveva essere dicembre (1982, o forse 1983).
Chi sono dunque codesti scaldi? Sono "poeti di corte dell'antica Norvegia" e praticano una poesia che alla Izzo sembra anticipare i modi del barocco. Sono "violenti, attaccabrighe, amano il rischio, le donne e le ricompense regali.

Si vede dai loro vestiti
dai loro anelli d'oro
la loro confidenza con il re.
Mantelli rossi addosso
con bordi scintillanti
spade e borchie d'argento
cotte tessute di maglie
bandoliere dorate
elmi sbalzati
bracciali ai polsi:
tutti regali di Haraldr.

La loro cattiva nomea è connessa al nome dall'etimo dubbio. Skald, palo d'infamia, scritto contumelioso? o skilja, separare, tagliare il legno, incidervi magie?
"Insolente, giocatore, carpentiere, spaccone"... Scrive la Koch: "E' più facile dire che cosa non sia, o non sia stato, uno scaldo, piuttosto che ritagliare con esattezza la sua sagoma professionale nel ricco tessuto semantico del fare poesia". Lo scaldo non è cantore vate, nè veggente sciamano, nè giullare, nè recitatore di altrui versi. "Compito degli scaldi è di dare forma alla magnanimità degli eventi, garantire eternità e memoria al divenire meschino del presente: essi sezionano e curvano l'accadimento in stemma". (S.L.L.)

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