12.1.12

Pablo Neruda. L'archetipo del poeta (di Antonio Melis)

Questo eccellente profilo di Pablo Neruda, tracciato di Antonio Melis, professore di letterature ispano-americane all'Università di Siena, fu pubblicato l'11 luglio del 2004, alla vigilia del centenario della nascita del grande poeta cileno. (S.L.L.) 
Si può affermare che Pablo Neruda ha incarnato, per milioni di lettori, l'immagine stessa del poeta o, se si vuole, il suo archetipo. All'inizio della sua parabola c'è l'invenzione stessa del personaggio Neruda, come momento di affermazione di un'identità sottratta al condizionamento paterno. Con questo pseudonimo - che prende il posto del nome Neftalí Ricardo Reyes Basoalto - dove il cognome di un narratore ceco s'intreccia forse con il ricordo dantesco di Paolo e Francesca, il poeta cileno si afferma giovanissimo. Soprattutto con Veinte poemas de amor y una canción desesperada, pubblicato nel 1924, a soli vent'anni, realizza un evento quasi unico nella storia della poesia mondiale. Sconvolge la tradizione della poesia erotica, introducendo al suo interno l'antagonismo oscuro che percorre il rapporto di coppia. Entra così in sintonia con la nuova sensibilità della sua generazione di lettori, ma soprattutto rinnova questo miracolo fino ai giorni nostri. Riuscendo perfino a vincere quell'effetto di sazietà che provocano i versi troppo celebri, troppo logorati dal loro uso come contrappunto alle vicende personali. I milioni di copie vendute sono il riscontro esterno di questo successo, molto più comune nel caso di generi più commestibili, come la narrativa. Ma Neruda è ben lontano dal riposare sugli allori. Con Tentativa del hombre infinito (1926) intraprende la sua prima avventura nella direzione di un'opera totalizzante. Questo stesso impulso si presenterà ciclicamente lungo il mezzo secolo della sua attività poetica, sia pure in forme diverse. Il libro resta comunque uno degli episodi più audaci dell'avanguardia poetica ispanoamericana. Un'avanguardia - è giusto precisare- che offre le sue prove più alte al di fuori di ogni gruppo organizzato e di ogni manifesto programmatico.
Il giovanissimo poeta, dopo essere passato dal paesino natale Parral a Temuco e poi nella capitale Santiago, viene proiettato dalla precoce attività diplomatica nell'Estremo Oriente. In queste terre lontane nasce la prima parte del ciclo di Residencia en la tierra, che uscirà nel 1933. Insieme alla seconda parte verrà riproposta nel 1935 a Madrid, dove nel frattempo Neruda si è trasferito. Questa stagione della poesia nerudiana, destinata a produrre i risultati più duraturi, è dominata da immagini di distruzione e corrosione, spesso associate alla vita urbana. Uno dei primi critici a dedicare una monografia a Neruda, lo spagnolo Amado Alonso, lo ha definito felicemente come un «re Mida a rovescio». In questa fase, tutto ciò che tocca con la sua poesia viene investito dal disfacimento, dalla rivelazione della morte che sta dentro la vita.
Questa serie viene prolungata in un terzo episodio, Tercera residencia appunto, la cui composizione si dilata nell'arco di dodici anni. Nel frattempo si è operata nella sua poesia una svolta radicale, da lui stesso descritta e commentata in diverse occasioni. L'elemento scatenante è costituito dall'esperienza della guerra civile di Spagna. Il poeta, che si trova a Madrid come diplomatico e ha stretto una profonda amicizia con molti poeti spagnoli, si schiera senza esitazione con la Repubblica aggredita dal golpe franchista. Ma soprattutto intuisce, per usare le sue parole, che è venuto il tempo di unire i suoi passi di lupo ai passi dell'uomo.
In una poesia dal carattere dichiaratamente didascalico, «Spiego alcune cose», inserito nel poema España en el corazón (1937), invita il lettore a vedere il sangue per le strade. Con questo autentico colpo alla nuca, getta le premesse per gli sviluppi successivi, che lo identificheranno a lungo come «poeta politico» per eccellenza. Questa evoluzione interna s'intreccia ben presto con le ipoteche del «realismo socialista». Com'è noto, si tratta di quanto di più irrealistico abbia prodotto l'esperienza letteraria contemporanea.
Le conseguenze di questo incontro sulla poesia di Neruda non sono tuttavia immediate. Durante la seconda guerra mondiale intraprende un nuovo progetto ciclico, che si allarga dall'idea iniziale di un canto alla propria patria a un Canto general del continente americano. La sua stesura si mescola con le sue vicende politiche di militante comunista, di senatore e infine di perseguitato, vittima della versione cilena della guerra fredda, contribuendo a riproporre il suo mito insieme poetico e personale. Il risultato è una delle imprese più ambiziose della poesia contemporanea, che vive un equilibrio precario fra la continuità stilistica con la stagione precedente e il peso crescente del volontarismo programmatico. Ma rimane, comunque, memorabile la sua capacità di congiungere, nelle sezioni più riuscite, la natura americana con le vicende storiche dei suoi popoli violentati dalla colonizzazione e dall'imperialismo.
Questo equilibrio si spezza nel successivo Las uvas y el viento (`54), dedicato per buona parte ai viaggi nell'Europa del dopoguerra. Il libro vuole essere la continuazione ideale del Canto general. Ma quelle che nel poema precedente erano cadute episodiche, riassorbite nella grandiosità dell'architettura complessiva, qui diventano quasi la regola. Non si tratta solo di un giudizio fondato sul senno di poi, che rende spietatamente false queste rappresentazioni idilliache dell'Est europeo. All'origine di questa involuzione stilistica c'è un processo di semplificazione, di riduzione della complessità. La dialettica del reale viene mutilata e si afferma un'insidiosa equazione di stampo zdanoviano. L'ottimismo diventa sinonimo di qualità poetica, mentre il pessimismo o comunque qualunque visione problematica viene bollato come fattore negativo anche sul piano estetico. Il poeta, in questo periodo, è prodigo di condanne verso la letteratura «decadente» e arriva addirittura a invitare i giovani a non leggere Residencia en la tierra, perché pervasa da una visione angosciosa della vita.
Per fortuna Neruda trova in se stesso gli antidoti per uscire da questo pantano ideologico. Da una parte ha ripreso in quegli stessi anni il discorso amoroso, con quei Versos del Capitán, apparsi anonimi a Napoli nel 1952, che sono all'origine del fortunato film Il postino, tratto dal romanzo di Antonio Skármeta. Dall'altra, accetta la sfida che gli viene, dall'interno del suo stesso paese, dall'esplosione dell'antipoesía di Nicanor Parra. Proprio nell'anno in cui esce Poemas y antipoemas (1954), che attacca ogni residuo di solennità presente nella poesia, Neruda inizia il ciclo delle Odas elementales. Sono composizioni di versi brevissimi, dedicati quasi sempre non ai grandi temi storici e politici, ma agli oggetti più comuni della vita quotidiana. Al di là di una certa tendenza alla ripetitività, c'è un legame profondo di questo filone con un nucleo decisivo della sua poesia. Neruda, infatti, in ogni tappa del suo percorso contraddittorio, è soprattutto il grande poeta della materia.
Il confronto con i nuovi fermenti introdotti nella poesia da Parra si sviluppa anche su un altro versante. A partire da Estravagario (`58), apre i suoi versi all'ironia, all'autoironia, all'umorismo. Questi elementi formeranno d'ora in poi una componente costante della sua poesia. Inizia anche, a partire dal Memorial de Isla Negra (1964) la costruzione della propria memoria autobiografica, che è anche una sorta di monumento edificato a se stesso. C'è in Neruda, come si è già detto a proposito dell'invenzione della propria identità attraverso la scelta di un nuovo nome, una chiara volontà di proporre una vita esemplare. Si tratta di un progetto che investe al tempo stesso la scrittura e l'esistenza quotidiana, sempre più rivolta a sottolineare l'eccezionalità della sua esperienza umana.
Non mancano, d'altra parte, i motivi di amarezza in questa ultima fase della sua vita. Uno, particolarmente duro da sopportare, gli viene da Cuba. Neruda era stato nell'isola poco dopo il trionfo della rivoluzione castrista e aveva dedicato a essa Canción de gesta (1960). Nel 1967, in seguito a un suo viaggio negli Usa su invito del Pen Club, viene attaccato violentemente da un documento firmato dai più noti intellettuali cubani. Neruda non perdonerà mai questo gesto, e nelle sue memorie si vendicherà con gli interessi. Nel suo itinerario poetico, d'altra parte, c'è sempre più spazio per l'autocritica nei confronti delle antiche certezze. Non si tratta però di una palinodia, ma di un ripensamento velato di amarezza che segnerà tutta la sua ultima stagione.
Quando le vicende politiche della sua patria richiedono la sua presenza autorevole, è pronto a essere di nuovo protagonista. Accetta la candidatura di bandiera che gli offre il Partito Comunista per le elezioni presidenziali del 1970, per poi rinunciare a favore di Allende. Nei brevi anni di Unidad Popular diventa la figura più prestigiosa schierata a sostegno del governo unitario delle forze progressiste. Il Nobel che gli viene assegnato nel 1971 va anche interpretato come un incoraggiamento di certi settori internazionali al tentativo allendista.
Il poeta, già gravemente ammalato, vive la sua agonia personale insieme a quella della sua patria. Così, dopo l'11 settembre dei generali traditori, fa seguito il 23 dello stesso mese la morte del poeta, con i funerali celebrati da pochi coraggiosi sotto la minaccia delle armi.
Neruda ci ha lasciato una cinquantina di libri di poesia, tra i quali ben otto sono usciti postumi l'anno dopo la sua morte, a testimonianza di una ricerca mai appagata. Pochi poeti hanno, come lui, suscitato amori e odii altrettanto viscerali. Oggi le sue opere, dopo un periodo di eclissi, sono tornate opportunamente a circolare nel nostro paese, grazie all'iniziativa dell'editore Passigli e alla riproposta di altre edizioni, come la bella antologia curata da Roberto Paoli per la Bur. Per chi volesse affrontare il poeta in lingua originale, è a disposizione la monumentale edizione preparata per Galaxia Gutenberg da Hernán Loyola. Il centenario, al di là dei suoi riti, può essere un'occasione per tornare a misurarsi con questa personalità spropositata, capace di risorgere continuamente dalle proprie ceneri e di scrivere con orgoglio, nelle sue memorie: Confesso che ho vissuto.

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