11.1.12

Gli scrittori siciliani e il progresso. Un libro di Piero Violante (Tano Gullo)

Riprendo qui, per informazione e ausilio alla riflessione, alcuni stralci dalla recensione di Tano Gullo a un libro recente di Piero Violante, pubblicata da “Repubblica” nell’edizione siciliana il 19 ottobre 2011. Violante è, fin da giovanissimo, un intellettuale di stampo illuministico, aperto a tutto il sapere (seppure con curiosità prevalenti per la musica e la politica) e tentato dalla collaborazione con un potere da illuminare, in ogni ruolo capace di intelligenza acuta e di intuizione brillante. (S.L.L.)

Il presente è stato sempre indigesto agli scrittori siciliani. Da Verga a Sciascia, passando per Pirandello, De Roberto, Vittorini, Brancati, Lampedusa, Perriera, Consolo e Sgalambro: sono vissuti in periodi e con problemi differenti, ma con la stessa diffidenza verso la modernità. Quasi due secoli di sospettoso scrivere. Ognuno di loro racconta la propria contemporaneità paventando i rischi e i danni arrecati dal "nuovo" che avanza. Che si tratti dell'annessione della Sicilia all'Italia o del fallimento dell'Autonomia regionale poco cambia. Sempre di tradimenti della storia si tratta. I cambiamenti pertanto vengono sempre registrati con segno negativo. Incubi più che speranze.
Quella che però apparentemente potrebbe essere liquidata come "arretratezza interpretativa", alla fine si rivela lungimiranza. Nel senso che i nostri grandi autori sono stati i primi lucidi critici di una società che aveva imboccato la via della decadenza, che aveva innestato la marcia indietro del regresso.
È la tesi che sostiene Piero Violante nel suo ultimo saggio intitolato, parafrasando Sciascia, Come si può essere siciliani. Sottotitolo Sicilia (in) Felix: una cultura politica, un eccesso di identità, un'isola non isola (XL edizioni). L'autore ha in pratica amalgamato due studi a cui lavora da un ventennio, uno sul disagio del progresso, l'altro sul fallimento della "nazione Sicilia", in cui l'analisi storica diventa speculare al mondo immaginario, ma quanto mai profetico della letteratura.
Il siciliano che emerge dalle pagine dei romanzi made in Sicily che hanno segnato l'Ottocento e il Novecento, è un soggetto malinconico, debole, a cui manca la prospettiva del tempo futuro. E soprattutto un soggetto sospettoso. Così la proiezione della fragilità dell'ego dei personaggi tratteggiati dai nostri autori finisce con il diventare diffidenza per tutto ciò che è nell'angolo appresso.
[…] per la maggioranza degli intellettuali il disagio del progresso diventa segno premonitore della critica di un moderno incompiuto che nello sviluppo vede solo stravolgimenti e nella storia il solito inganno. Elementi che fanno affermare a Violante che i nostri autori avanzano dal premoderno al postmoderno saltando di pari passo il moderno. Tutto all'insegna del tempo oggettivo - ora lungo, ora corto, ora fermo, ora accelerato - che non si sincronizza con quello della grande storia, imprimendo temporalità decentrata, che non ha una direzione di marcia. Uno zig zag che non porta da nessuna parte. Soprattutto in un territorio dove medioevo e "futurandia" coesistono problematicamente.
[…]
È ancora più inquietante il pensiero negativo di Sgalambro, che oltre a stigmatizzare il presente cancella ogni speranza di vita, di futuro. Per il filosofo catanese il «sentimento insulare» è un tutt'uno con «l'oscuro impulso verso l'estinzione». Scrive infatti: «La volontà di sparire è l'essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, esso vive come chi non vorrebbe vivere. La storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori». […]
Senza arrivare all'estremizzazione del pensatore etneo, la storia per tutti gli altri scrittori oltre a un odioso rumore che disturba è una forza devastante che irrompe in un tempo ordinato scandito dalle stagioni e dai riti, pagani o religiosi che siano. Da qui la reazione a viverla come apportatrice di disordine, quindi nemica. Altro che incubatrice di progresso. Da qui l'idea di un presente devastatore in perenne debito con il passato. Da qui il rifugiarsi nel brutto tempo che fu - vedi i veristi, ma anche Pirandello e gli altri - piuttosto che accettare una modernità gravida di ingiustizia e di mostri anche peggiori. Da qui, infine, la consapevolezza che la natura, destinata a soccombere, si ribella contro la storia.
Sullo sfondo le annose zavorre del Sud. Che si aggravano nei due momenti più significativi dei due secoli precedenti: il Risorgimento e l'Autonomia regionale. Del primo, a cominciare dalle narrazioni del Verga, sappiamo come è sfociato nel tradimento degli ideali che l'avevano alimentato. In quanto all'Autonomia non è riuscita a sciogliere il nodo originale: se dovesse incamminarsi sulla scia di una storia millenaria che partiva dal re normanno Ruggero II, o se dovesse essere un cominciamento di una storia breve iniziata nel 1896 con il memorandum socialista sull'autonomia, che sulla scia dei Fasci ingloba la problematica dei diritti sociali e della partecipazione popolare.

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