14.2.12

Aprile 2004. Buenos Aires rende omaggio a Osvaldo Soriano (Silvina Friera)


Presentata ieri alla Fiera del libro la nuova edizione completa dei suoi sette romanzi a sette anni dalla morte
Il Gordo Soriano, che detestava le pose accademiche, soleva dire che i suoi veri consiglieri letterari erano i gatti. E lo consigliarono molto bene. Osvaldo Soriano ha venduto più di un milione di copie in tutto il mondo con il suo primo romanzo Triste, solitario y final (1973) e negli anni `90 fu lo scrittore vivo più letto e venduto. Come Roberto Arlt negli anni `30, Soriano è stato un sasso fastidioso nelle scarpe dell'Accademia, che lo infamava per essere uno scittore di best seller «populisti» - il successo dava e dà fastidio nel ghetto letterario - e anche per la sua scarsa preparazione formale. Sì, i critici e gli intellettuali militavano nell'anti-sorianismo e il Gordo ne soffriva, si amareggiava e diceva: «Nella facolta di Lettere sono fortemente sconsigliato. Quello è un cenacolo che controlla anche la critica e i giornali. Hanno dato da leggere Quartieri d'inverno come esempio di ciò che non si deve fare». E' morto da sette anni, il 29 gennaio del `97 ed è stato il vignettista Miguel Rep, con la sua indimenticabile vignetta uscita sulla prima di Pagina/12 chi ha saputo meglio sintetizzare il dolore e la rabbia provocati da quella morte prematura. I suoi amici e i suoi lettori rimasero soli, orfani. Nessun autore, nessun giornalista ha più toccato l'intensità di quello sguardo feroce con cui il Gordo scrutava la realtà.
Nella sala Julio Cortazar della Fiera del libro alle sette di ieri pomeriggio è stata presentata l'opera completa di Soriano, rieditata da Planeta, in una tavola rotonda con Miguel Rep, Osvaldo Bayer, Guillermo Saccomanno, José Pablo Feinmann e Juan Martini, coordinati da Osvaldo Quiroga. La riedizione dei suoi sette romanzi, tutti illustrati da Rep, conterà sulla prefazione di Eduardo Galeano (Triste, solitario y final), Feinmann (Mai più pene né oblio), Bayer (Quartieri d'inverno), Martini (La resa del leone), Saccomanno (Un'ombra ben presto sarai), Roberto Fontanarrosa (L'occhio della patria) e Tomas Eloy Martines (L'ora senz'ombra). Il recupero di queste opere consentirà di attenuare in qualche misura il vuoto e l'angoscia dei suoi lettori e ripensare al valore della trama, al pensiero e al linguaggio dei suoi personaggi più indimenticabili, come quello di Mai più pene né oblio: «... ma se io non mi sono mai interessato di politica. Se sono sempre stato peronista». E però potrà anche raccogliere lettori vergini, quelli che erano bambini e adolescenti quando un cancro ai polmoni se lo portò via.
«Quando consegno gli originali alla casa editrice è come se ricevessero una mia gamba, il mio fegato. Io scrivo con il corpo», spiegava così l'impegno, la vita stessa, che lasciava in ciascuno dei suoi libri. Osvaldo Bayer, a cui si deve la prefazione di Quartieri d'inverno (scritto in Belgio e Francia fra il '77 e il `79), «una delle opere fondamentali per la sua definizione del peronismo e la descrizione delle sue diverse tendenze», ricorda che lo scrittore voleva entrare per la porta principale nella Facoltà di lettere e filosofia, ma non gli consentirono di soddisfare quel sogno in vita. «Sfortunatamente è morto prima: in ogni caso l'omaggio glielo resi lo stesso, nell'aula magna della Facoltà - racconta Bayer nel dialogo con Pagina/12 -. In quella cerimonia, Ricardo Piglia disse che i tre scrittori più importanti della letteratura argentina: Sarmiento, Borges e Arlt, non avevano neanche la maturità e allora tutti si alzarono in piedi e fu molto emozionante». La riflessione di Piglia in quell'omaggio postumo forse è riuscita a superare definitivamente gli affronti accademici che Soriano ricevette per non avere concluso i suoi studi superiori o per l'economia della sua scrittura. «Arlt è stato il genio che ci descrisse com'era la Buenos Aires della "decade infame" - dice Bayer -. Soriano, invece, ci ha lasciato la stampa viva di quell'Argentina traumatica degli anni `70. E se fosse ancora con noi adesso, nelle sue pagine farebbe vivere tutti: i traditori e i coerenti, gli idealisti e i poliziotti, i nobili e i topi. E' nella letteratura vera che si può cominciare a capire la storia profonda».
Per Saccomanno, che ha scritto il prologo di Un'ombra ben presto sarai, questo romanzo è essere il più triste scritto in questo paese dalla fine degli anni `80 a oggi. «Leggerlo è come consultare il medico che ci ha diagnosticato un male incurabile», dice Saccomanno. «Niente di quel che succede in questo romanzo, al contrario di quel che può sembrare, è uno scherzo. Qui non c'è quell'intento sornione e compassionevole che redimeva i personaggi nei suoi racconti precedenti. Ora i protagonisti sono più prossimi ai furbastri meschini che a quei perdenti simpatici che strappavano con un solo gesto una complicità immediata. Il sorriso è diventato un rictus. Come un patriarca collerico che accusa i suoi simili. Soriano scrive un romanzo lunatico che ha il furore di un'invettiva». Per Fontanarrosa L'occhio della patria riprende quel tono burlone, agile, pieno di strizzatine d'occhio che fa sì che chi comincia a leggerlo non può più fermarsi. «E' come starlo a sentire, il Gordo, quando raccontava un film di spie, una notte qualsiasi in una pizzeria portegna. Con quella fantastica capacità che Osvaldo aveva di raccontare, con la sua voce sottile e sorniona, dietro la sigaretta. Perchè il Gordo era un narratore formidabile. Poteva descrivere un gol, una giocata, un'intervista complicata della sua vita giornalistica, un dialogo occasionale con un taxista e tutto, tutto diventava un racconto degno di essere ascoltato fino alla fine». Così era da vivo, così parlava e così dialoga con i suoi lettori dai suoi libri, con quello stile di brutale efficacia a cui si riferiva lo stesso John Updike.

“il manifesto” 18.04.2004

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