16.2.12

Lingua e dialetto. Il "pass" di Pirandello (Andrea Camilleri)



A casa mia si parlava un misto di dialetto e italiano. A scuola ti obbligavano a parlare italiano, perché il dialetto per il regime fascista era un fatto riduttivo dell'unità nazionale, quando invece tutti parlavamo il dialetto, voglio dire i piemontesi il piemontese, i toscani il fiorentino - anzi no, per l'amor del cielo, mi perdonino i toscani: i fiorentini il fiorentino, i senesi il senese e via di questo passo.
Ma a casa parlavamo in dialetto e in italiano. Quand'è che si parlava in dialetto e quand'è che si parlava in italiano? Questa è la domanda che mi sono posto quando ho incominciato a scrivere.
Un giorno analizzai una frase che mia madre mi aveva detto quando avevo diciassette anni: mi aveva dato le chiavi di casa e io tornavo tardi la notte. Mi disse: «Figghiu mii, vidi ca tu, si nun torni, iu nun rinescio a pigghiare sonnu. Si iu nun sento 'a porta ca si chiui ca vena a dire ca tu turnasti, 'un m'addurmisciu. Resto cull'occhi aperti vigliardi. Allora, pi' favuri, nun mi fari curcari addormisciri tardi, torna presto, e se questa storia dura ancora, io ti taglio i soldi che ti do, e tu mi spieghi che fai fino alle due di notte?».
Porca miseria, dissi, guardate un po', la prima parte di 'sto discorso è la mozione degli affetti, la seconda parte interviene il notaio, la giustizia, il commissario di pubblica sicurezza, il legalitario. Dunque, la lingua italiana, che è nata come lingua notarile, torna a essere lingua istituzionale al momento della minaccia.
E su questo ho cominciato a scrivere.
Supportato poi da Pirandello; un giorno scoprii uno scritto meraviglioso di Pirandello della fine dell'Ottocento, che dice: «Di una data cosa, il dialetto ne esprime il sentimento, della medesima cosa la lingua ne esprime il concetto», che è favoloso come pass ricevuto da Pirandello per scrivere a modo mio.

Da AA.VV. Io mi ricordo (libro e dvd), Einaudi 2009

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