“Il manifesto” del 21 giugno 2011 ha ospitato un'intervista, curata da Riccardo De Sanctis, allo storico statunitense Frank Snowden, che nei suoi libri si è occupato spesso di storia d'Italia.
Snowden nato nel 1946 attualmente insegna storia contemporanea e storia della scienza e della medicina alla Yale University. Sono molti i suoi libri “italiani”: «Violence and great estates in the South of Italy: Apulia 1900-1922», Cambridge University Press 1984 ( Violenza e latifondo nell’Italia del Sud: Puglia 190-1922); «The fascist revolution in Tuscany 1919-1922» Cambridge University Press 1989 (La rivoluzione fascista in Toscana 1919-1922); «Naples in the time of cholera 1882 -1911» Cambridge University Press 1995 (Napoli al tempo del colera 1882-1911), «The conquest of malaria 1900-1962» Yale University Press 2006. Solo quest'ultimo è stato tradotto e pubblicato in Italia (nel 2008 da Einaudi come La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana). Riprendo qui la prima parte dell’intervista, ove si ragiona appunto di malaria e di bonifiche di regime, una ricerca tale da sconvolgere non pochi luoghi comuni sul fascismo “dittatura all’acqua di rose” (S.L.L.)
Agro Pontino, 1935. Contadini inneggiano a Mussolini in visita. |
In molti suoi libri lei si è occupato della storia italiana del Novecento. Come è nato questo interesse?
Alla fine degli anni ’50 ho abitato per un paio di anni a Roma: a quel tempo mio padre (che come il figlio si chiamava Frank Snowden ed è stato uno dei maggiori storici statunitensi della cultura africana e afroamericana – afroamericano anche lui, e fiero di esserlo, ndr) era addetto culturale all’ambasciata americana. Così ho imparato l’italiano, ho frequentato gli scout e ho perfino incontrato il papa, Pio XII, in udienza privata. La moglie di William Colby (allora direttore della Cia) veniva spesso in ambasciata ed era la mia den mother, una sorta di madrina, negli scout. Insomma, ho avuto tanti stimoli…
In seguito, studiando dottrine politiche a Harvard, mi sono reso conto che se vuoi comprendere davvero le scelte delle persone, le loro priorità, i parametri del vivere insieme, l’origine delle idee sociali e politiche, uno dei migliori metodi a disposizione è studiare le condizioni sanitarie di un paese e le problematiche che ne derivano.
Le malattie e il modo in cui vengono affrontate, l’atteggiamento individuale e collettivo (della società, delle istituzioni, dei medici) rispetto a un’epidemia, sono una fonte straordinaria di informazione: meglio di tanti altri ambiti, rivelano infatti come la gente considera gli altri e aiutano ad analizzare quella particolare società in un determinato momento.
Ho così deciso di studiare una terribile epidemia di colera, che sconvolse Napoli nel 1884: la storia drammatica di un microbo «invasore» molto esotico. Il libro è stato un successo, ma a me è venuto uno strano senso di colpa: sentivo di avere in certo senso imbrogliato, perché avevo scelto di studiare un evento eccezionale, non qualcosa che riguardasse la vita quotidiana di un popolo.
Se volevo tentare di comprendere l’Italia nella sua particolarità, dovevo scegliere qualcosa che fosse lì giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Questo mi ha portato a studiare la malaria: un grande problema sanitario per il paese, un fenomeno non solo epidemico, ma anche endemico, che avrebbe fornito un’ottima testimonianza non solo sulle condizioni sanitarie, ma anche sulle politiche governative e sul livello di vita della gente comune. Lo studio del colera era centrato su Napoli, perché lì era avvenuta quell’epidemia. Il progetto di studio sulla malaria è stato diverso, era un problema che riguardava, più o meno, quasi tutta l’Italia, così la mia ricerca è diventata uno studio nazionale.
Ancora oggi molti italiani, non necessariamente di destra, parlano della bonifica come di una grande impresa, un successo del fascismo. È d’accordo con questa lettura?
Sicuramente fu un grande successo mediatico, una riuscitissima operazione di public relations e dal punto di vista politico un’enorme affermazione di potere. Il regime era riuscito dove i governi liberali e i papi avevano fallito: dare all’Italia nuove terre, creare un’altra provincia, sconfiggere
definitivamente la malaria…
La realtà tuttavia è un’altra. Un numero sconosciuto, ma comunque sicuramente altissimo, di vittime del morbo si registrò tra gli oltre centoventimila operai fatti venire da ogni parte d’Italia, soprattutto dalle zone più povere, e inquadrati militarmente dall’Opera Nazionale Combattenti. Dopo la depressione del 1929 la quantità dei disoccupati era enorme. La manodopera a basso costo non poteva contare né su sindacati né su rappresentazione politica. I lavoratori arrivavano a migliaia alla stazione di Cisterna dove speravano di essere scelti dall’Onc. Non avevano le protezioni necessarie: non indossavano abiti adeguati, non possedevano una immunità acquisita, non conoscevano i principi di difesa dalle zanzare, non si nutrivano a sufficienza, non dormivano in aree protette dalle zanzare, non venivano fornite loro le cure necessarie o il chinino per prevenire la malattia. Su questa strage il regime ha mentito consapevolmente.
I malati venivano rispediti a morire nelle loro zone d’origine, in modo che i decessi non venissero conteggiati nei dati ufficiali delle vittime dell’Agro Pontino. Era un onore morire per la patria, affermava Mussolini. Gli unici dati disponibili sono quelli della Croce Rossa: centinaia e centinaia gli interventi con le barelle, con le autoambulanze…
Ma la cosa più grave e spesso sottovalutata è che dietro l’idea della «bonifica integrale» della legge
Mussolini del 1928, c’era un vero e proprio progetto di eugenetica.
Ci vuole spiegare meglio in cosa consisteva questo progetto?
L’Agro Pontino doveva essere il banco di prova per un programma di selezione di una super-razza italiana degna di fondare un nuovo impero. Non a caso Mussolini parlò più volte dei «vivai umani»: si sarebbero dovute mescolare le migliori caratteristiche delle varie razze bianche (l’idea italiana del razzismo era diversa da quella tedesca e prevedeva sottorazze o «stirpi» come gli ariani, i liguri, i latini, i calabri…). Contadini robusti dal fisico potente, donne fertili capace di generare dieci dodici figli ciascuna: l’obiettivo era di «redimere» la razza insieme alla terra, e preparare gli italiani alle conquiste del nuovo impero. Furono compiuti anche molti studi antropometrici: si misuravano crani e struttura ossea per verificare i risultati degli incroci.
Si trattò di un esperimento coloniale e imperiale. La nuova provincia sarebbe dovuta divenire un esempio per l’espansione in Africa. Non era solo un progetto di salute pubblica, era qualcosa di molto più complesso e sinistro. Tra l’altro, pochi anni prima della legge Mussolini, in alcune aree della Toscana e della Puglia infestate dalla malaria, più di duemila lavoratori impiegati in progetti di
bonifica furono sottoposti a esperimenti.
Un gruppo veniva infettato con la malaria e poi abbandonato all’infezione, senza ricevere né il chinino né altri mezzi di protezione, al fine di osservare il corso naturale del morbo. A un secondo gruppo veniva invece somministrato il mercurio, nonostante da decenni si sapesse che era inutile e dolorosissimo. L’esperimento durò fino al 1929. È impossibile sapere quanti furono i morti ma è certo che tutta la sperimentazione era in contrasto con gli avvertimenti del Consiglio Superiore della Sanità e dei suoi esperti malariologi.
Quanto all’Agro Pontino, nel 1928 ci vivevano poco più di 1600 persone, per lo più derelitti, qualche buttero, alcuni briganti. Se si trattava di un’opera di salute pubblica, come dichiarò il regime, perché scegliere un’area semidesertica?
Eppure negli anni Trenta Littoria diventò una meta obbligata per i dignitari stranieri, una grande mostra fu allestita al Circo Massimo per celebrare il decimo anniversario della legge Mussolini, furono organizzate esposizioni itineranti a Monaco, a Tripoli, New York e Sofia, e in tutta Italia: a Bari, Milano, Torino, Bologna e Firenze. La bonifica integrale era la risposta fascista ai piani quinquennali dell’Unione Sovietica.
Credo che sia una cosa che. Non e' mai esistita. P.G.
RispondiEliminaSottoriva