13.5.12

I guai del ritorno (di Christoph Martin Wieland)

Christoph Martin Wieland è, dopo Lessing, il più celebre degli illuministi tedeschi. Amico di Goethe, fu da costui iniziato alla massoneria. E’ autore di un romanzo satirico, Storia degli Abderiti, in cui attraverso il racconto delle vicende dell’antica Abdera, patria del filosofo Democrito, denuncia la stupidità della Germania moderna, dei suoi costumi, delle sue pompe. Eccone un brano, divertentissimo. (S.L.L.)
Wieland nel ritratto di Jagemann (1805)
Per parecchi giorni gli Abderiti non parlarono d'altro che del loro concittadino Democrito, tornato in patria con scimmia e coccodrillo. In breve tempo, però, si vide che si erano ingannati nel valutare un uomo che aveva tanto viaggiato.
I galantuomini cui Democrito aveva affidato per la durata della sua assenza la cura dei suoi beni, gliene avevano sottratta la metà: ciò nondimeno egli sottoscrisse i loro rendiconti senza alcuna obiezione. Questo naturalmente diede il primo colpo alla stima che si aveva delle sue doti intellettuali. Giudici e avvocati almeno, che avevano sperato in un lucroso processo, osservarono, con una significativa alzata di spalle, come fosse preoccupante affidare la cosa pubblica ad un uomo così inetto ad amministrare la propria casa. A dispetto di ciò gli Abderiti non avevano alcun dubbio che egli si sarebbe proposto tra i candidati alle loro cariche supreme. Già calcolavano il prezzo a cui gli avrebbero venduto il proprio voto; gli offrivano la mano delle figlie, nipoti, sorelle, cugine e cognate; soppesavano i vantaggi che volevano trarre dal suo prestigio, una volta che fosse divenuto arconte o sacerdote di Latona, in vista di questo o quel progetto. Ma Democrito dichiarò di non voler essere né consigliere comunale di Abdera, né marito di una Abderita, facendo svanire così tutti i loro disegni.
Si sperava comunque ancora di esser un po' ripagati stando in sua compagnia: un uomo che aveva riportato dai suoi viaggi scimmia, coccodrillo e lucertole addomesticate, doveva avere di certo un'enorme quantità di cose portentose da raccontare. Ci si attendeva che parlasse di giganti alti dodici cubiti, di nani di sei pollici, di uomini con la testa canina o asinina, di sirene dai capelli verdi, di negri bianchi e di centauri azzurri. Ma Democrito si guardò talmente dal raccontare menzogne, che sembrava non avesse mai oltrepassato il Bosforo tracico. Gli chiesero se nel paese dei Garamanti aveva incontrato uomini senza testa, con occhi, naso e bocca sul petto, e un dotto abderitico (che senza esser mai uscito dalle mura della città dava a vedere che non c'era un angolo del mondo in cui non si fosse insinuato) gli dimostrò, durante un grande ricevimento, che non poteva essere stato effettivamente in Etiopia senza avervi conosciuto gli Agriofagi, il cui re ha un occhio solo, posto sopra il naso, i Sambri, che si scelgono sempre un cane come sovrano, e gli Artabatiti, che vanno a quattro zampe. «E se voi vi siete addentrato nella parte estrema dell'Etiopia occidentale - continuò l'erudito - son certo che avrete incontrato un popolo senza naso, ed un altro dove gli uomini hanno la bocca così piccola che sono costretti a succhiare la minestra con la cannuccia».
Democrito assicurò per Castore e Polluce di non ricordare d'aver mai avuto tale onore.
«Per lo meno - disse l'altro - in India avrete incontrato degli uomini che vengono al mondo con una gamba sola, e nondimeno, per la straordinaria larghezza del loro piede, se la corrono così in fretta che a stento si può tener loro dietro a cavallo. E che ne diceste di imbattervi, alle sorgenti del Gange, nel popolo che non si nutre d'altro che del semplice odore delle mele selvatiche?».
«Oh, raccontateci - esclamarono le belle Abderite - raccontateci, signor Democrito! Che cosa non ci raccontereste, se solo voleste!».
Invano Democrito giurò di non aver mai visto né sentito nulla a proposito di tutti questi mostri.

Da Storia degli Abderiti, Traduzione di Fabrizio Cicoria, Utet 1982

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