2.5.12

Su Vittorini (di Franco Fortini)

In Questioni di frontiera, uno dei volumi che raccolgono gl’interventi di riflessione culturale e politica di Franco Fortini, l’ultima sezione è dedicata ai “compagni separati” e dentro essa uno spazio speciale è dedicato a Elio Vittorini, cui Fortini era stato compagno nell’avventura del “Politecnico” e vicinissimo nel tempo della rottura definitiva con il Pci. Quello che qui riprendo è un accorato e sofferto addio. (S.L.L.)
Gli ho telefonato, alla clinica. Credevo mi rispondesse Ginetta o qualche altro e invece era lui.
Sono dieci anni che penso, ogni tanto: ora telefono a Elio, gli parlo, gli dico, anzi gli spiego, perché sta sbagliando, perché non deve dare ascolto a quella gente che ha d'intorno. Era la stolta persuasione — o la speranza — che il tessuto di verità e di errori dove ci si avvolge inoltrandosi nell'età, possa in un qualche attimo distinguersi dal nostro corpo. Condannato ad essere, ai suoi occhi, uno schema, una formula; e lui forse per me. La sua obbedienza alla nevrosi, che gli ha fatto traversare la vita d'un seul coup. Naturalmente non gli telefonavo mai. L'ultima cosa che si potesse fare, con Elio, era parlarci. La sua collera per le parole morte. Si finiva a passare una serata da lui, per recitare qualche idea, la solita presa d'armi ridicola con A. o con B. È invece la sua voce. Gli conosco una tonalità dolce, molto affettuosa, di quando voleva sedurre. Ma questa volta la voce è velata, allontanata, fioca come di chi abbia taciuto a lungo. Mi ha detto di andare, che gli avrebbe fatto piacere; nelle prime ore del pomeriggio, che non ci sarebbe stato nessuno. Dopodomani andrò, ormai troppo tardi per tutti e due.
1966.

Da Questioni di frontiera. Scritti di politica e letteratura 1965-1977, Einaudi, 1977.

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