1.5.12

Il 1° Maggio non sarebbe morto più... (di Edmondo De Amicis)


Edmondo De Amicis
Il romanzo, non rifinito e a lungo inedito, Primo Maggio, di Edmondo De Amicis, racconta, insieme ad alcune conturbanti vicende sentimentali, il nascere del socialismo italiano e l’anelito umanitario con cui  non pochi esponenti della piccola e media borghesia aderivano al socialismo. In particolare vi è narrata la mobilitazione internazionale per le otto ore del 1° maggio 1890. (S.L.L.)
Il Primo Maggio del 1890 in Galleria, a Milano
Egli si svegliò con l'anima serena. Il suo primo pensiero corse ai milioni d'uomini che, quella stessa mattina, in tutte le parti del mondo civile, da Sidney a San Francisco, da New York a Berlino, da Mosca a Palermo, s'erano svegliati prima di lui, — e salutando quel giorno i milioni di compagni di fede sparsi per l'Europa e per l'America, volgevano la mente all'avvenire con un sentimento di speranza. E pensò che altri milioni si eran destati o stavano per destarsi con un sentimento d'inquietudine e di terrore. E anche di questo si rallegrò, non per un pensiero maligno, ma perché era provvido che ci fosse un giorno dell'anno in cui la mente dei felici, degli spensierati, degli egoisti, fosse quasi a forza costretta a guardare in faccia il tremendo problema.
Oh sì, anche nella mente dei più spensierati e dei più baldanzosi doveva sorgere un dubbio quella mattina che i privilegi di cui godevano non fossero delle ingiustizie e delle iniquità, che la presente forma di costituzione sociale fosse destinata a mutarsi dalle fondamenta. Già in quei momenti, in tutti i paesi civili d'Europa, milioni d'uomini erano sotto le armi, un apparecchio formidabile, bastante a reprimere sull'atto ogni più audace e forte tentativo; ma la presenza di quella immensa forza non poteva fare che quel dubbio, quello sgomento sorgesse negli animi — non bastava a rassicurar nessuno — perché quella forza garantiva il presente, non l'avvenire, e tutti vedevano in quell'avvenire la Sfinge enorme, immobile, granitica, — contro cui nessuna forza umana poteva. No, il 1° Maggio non sarebbe morto più. Avrebbe potuto prender carattere pacifico per un periodo di tempo, e non più ispirare ad alcuno un terrore immediato. Ma ogni anno, infallibilmente, avrebbe riunito in un pensiero milioni d'anime di più. E avrebbe ben finito per esser la festa vera delle nazioni! E con entusiasmo egli si rappresentava quello che sarebbe stato nell'avvenire: delle fiumane viventi per le vie, le case vermiglie di bandiere, un canto, in varie lingue, ma d'un solo concetto, cantato da milioni e milioni di voci, nella stessa ora, in tutte le mille città del vecchio mondo e del nuovo, e in mezzo e intorno alle folle sterminate e festanti, non più fucili, né spade; — in quel fremito immenso non più che pochi ostinati, vecchi, chiusi nelle loro case tristi, rimpiangenti il fasto e l'ozio perduto. Ma anche questi sarebbero diminuiti ogni anno di numero e d'ostinazione. Un dopo l'altro, in uno di quei giorni, al suono delle musiche passanti nella via, non avrebbero più potuto comprimere il cuore, e sarebbero corsi alla finestra a salutare con un evviva frenetico i loro fratelli.

Da Primo Maggio, Garzanti, 1980

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